House of Cards 3, le ultime volontà di Francis Urquhart
Fazi Editore ha pubblicato il terzo volume della saga di House of Cards, “Atto finale”. La penna di Lord Michael Dobbs propone un finale che non delude gli affezionati e regala a Francis Urquhart un indimenticabile canto del cigno
Uno dei grandi rimproveri che forse i posteri faranno al nostro secolo, sarà la dipendenza, spasmodica e pericolosa, dall’adrenalina. Quel bisogno ruggente negli arresi, malsopito nei bugiardi, di più vita possibile, in quantità maggiore rispetto a quella regolarmente somministrata. Senza indugiare sui numerosi campi nei quali questo sordo desiderio ci ha danneggiati (e continua a farlo), val la pena concentrarsi sull’influenza che ha avuto sul mondo letterario. I nuovi best-seller infatti, pescando tra l’erotico, il poliziesco, lo scientifico, i libri-inchiesta e molto altro, hanno quest’unico obbiettivo. Il grande pubblico decide, e cerca la sua “iniezione” quotidiana tra le righe di mondi nuovi, inesplorati, proibiti e di certo lontani dal comune. C’è il rischio quindi, che molti di questi successi tradiscano il loro intento, spingendo troppo a fondo la leva dell’esaltazione, e siano per questo motivo puniti con l’oblio della dimenticanza.
Non è questo che accadrà però, con il terzo capitolo dell’osannata saga di House of Cards, scritta da una vecchia conoscenza (Lord Michael Dobbs), con il promettente sottotitolo di “Atto finale”. Nelle librerie dallo scorso 5 marzo e pubblicato in Italia da Fazi Editore, il fortunato Numero Tre spaccia adrenalina in modo sano, e sopratutto senza forzature. Ritroviamo l’instancabile Francis Urquhart, dieci anni più anziano, ma almeno il doppio più saggio, che con il collante del cinismo ha tenuto stretto il titolo di Primo Ministro senza barcollare. Immediatamente accanto a lui, ricompare Elizabeth, altrettanto inamovibile moglie ed agenda. Gli inglesi hanno avuto molteplici occasioni per sbarazzarsi di lui ed invece, come spesso capita ai “cattivi” di professione, gli si sono affezionati.
Consolidato sul suo trono di potere e scartoffie, Francis si districa abilmente tra problemi di piccola entità e così Lord Dobbs ci conduce, nella prima parte del romanzo, in un lungo corridoio figurato di glorificazione del protagonista. Con sapiente uso dell’intreccio, piomba però sulle sue spalle la questione cipriota e spalanca il dimenticato universo della giovinezza da ufficiale. Una guerra sanguinosa divide la piccola isola greca di Cipro e l’isola madre protettrice: Francis millanta la ricerca di pace, ma sotto sotto macchina la realizzazione dei suoi scopi, che non deluderanno il lettore affezionato.
Compare inoltre, un pericoloso avversario a due facce: quella del candidato della fazione opposta Makepeace (nomen omen), nonché quella straniera del vecchio cipriota Passolides. Entrambi consci delle “buone qualità” di Urquhart, tentando di ostacolarlo, provano a batterlo al suo stesso gioco. Dei professionisti come Francis però, si dice che non perdono perché non si agitano mai. Il suo beffardo e penetrante sguardo di sfida infatti, viene di rado scalfito dai suoi rivali, e la fregata Urquhart non affonda.
Il finale rispetta le esigenze del mestiere, e lo stile tutto britannico di Lord Dobbs si sublima completamente nell’ultimo discorso di Francis: “forse ho troppo amato il mio paese. In tal caso, è stato un errore fatale. E, fatalmente, mi si chiede di espiarlo”. Se la sorpresa vi confonderà sul momento, dopo qualche riflessione comparirà sul vostro viso un ghigno: la vecchia canaglia non perde mai. Poetica ingiustizia è la felicità dei malvagi, sublime è riuscire ad accettarlo senza rassegnazione, ma con un pizzico di ironia. Lord Dobbs ha una lezione per i suoi lettori: il mondo e la politica, sono per chi li capisce e ne domina, senza paura, la contraddittoria essenza profonda.
Resta un solo dubbio: dopo tale perfetta conclusione, sarà l’alter-ego americano Frank Underwood in grado di emulare il suo clone cartaceo? Non c’è pace per i fan della serie, che hanno a disposizione un finale e molte congetture. Che ironia! Eppure Francis dice: “La mia aspirazione, come tutti sapete, era portare la pace”.