Terremoto L’Aquila: una città senza anima
Tra speculazioni, ritardi e disillusione, la città colpita da un terribile sisma tra il 5 e il 6 aprile del 2009 ha ricordato anche quest’anno le sue 309 vittime
Era la notte tra il 5 e il 6 aprile del 2009, l’orologio indicava le ore 3 e 32 minuti, quando un terribile sisma cambiò per sempre la vita dei cittadini de L’Aquila: 309 le vittime, circa 1500 i feriti, 65mila il numero degli sfollati, danni per almeno 10 miliardi di euro. Sono passati 6 anni: gli abitanti della città che sono potuti rientrare nella propria casa non sono più di una cinquantina.
Della città abruzzese, ancora, non resta molto di più delle macerie. Ricapitolando, il sindaco Massimo Cialente, ha descritto una situazione “kafkiana”: “in passato avevamo progetti cantierabili ma non fondi sufficienti, quest’anno abbiamo un miliardo e 200 milioni di cassa, il prossimo anno avremo un miliardo e 900 milioni, ma sforniamo cinque progetti a settimana. Per usare i 100 milioni al mese ci vorrebbero almeno sessanta pratiche pronte al mese, devono assegnarci altro personale”.
D’altra parte per riuscire nell’impresa di ultimare la ricostruzione nel 2017, ha proseguito Cialente, ai 4 miliardi già stanziati bisognerebbe aggiungerne almeno altri 3 e mezzo. Ad oggi, all’interno delle mura, la ricostruzione si attesta a non più del 10% delle strutture colpite (nella parte più importante del centro storico si arriva solo al 3%), nelle frazioni la percentuale si abbassa fino a zero, neanche i quartieri “nuovi” sono stati completati, anche se la loro costruzione è arrivata all’80%, sempre il sindaco ha ultimamente riferito all’Ansa.
Come puntualizzato da Gianni Di Cesare, sindacalista CGIL, di questi tempi il sentimento più diffuso tra gli aquilani è la “disillusione”: “a partire dalle questioni relative alla giustizia. Ci sono state sentenze contraddittorie, che alla fine sono diventate di assoluzione e quindi con poche responsabilità accertate e punite. Sia per quanto riguarda il mancato allarme da parte dello Stato, sia per quanto riguarda i palazzi che hanno ceduto così facilmente”.
Dopo il terremoto Bernardo De Bernardinis, vice-presidente della Protezione Civile, e gli altri sei scienziati che componevano la Commissione Grandi Rischi vennero accusati e, nel 2012, ritenuti colpevoli – in primo grado – di aver minimizzato il pericolo di un grave evento sismico e, quindi, di aver determinato la morte di molte persone invitandole a “stare tranquilli e bersi un bicchiere di vino” (sic!). Molti colleghi, ma non tutta la comunità scientifica, difesero i sette in nome della scienza: i numerosi sciami sismici di lieve entità che colpirono la zona nel periodo immediatamente precedente alla forte scossa non potevano far prevedere la tragedia. In appello, sostanzialmente, furono tutti scagionati.
Una delle più bele città medioevali, una delle più vive realtà universitarie del centro-sud: L’Aquila non è più questo, L’Aquila non lo sarà mai più, perché all’ingiustizia dei tribunali si sta sommando l’inefficacia della politica, il malaffare, la corruzione. Subito dopo il terremoto l’allora premier Berlusconi e il capo della protezione civile Bertolaso annunciarono la costruzione delle New Town destinate a 20mila cittadini rimasti senza abitazione.
Tuttavia, il progetto C.A.S.E. – acronimo che sta per Complessi Anti-Sismici Ecosostenibili – ha mostrato quasi subito diverse falle. Le abitazioni costruite si sono rivelate delle autentiche “cattedrali nel deserto”, lontane dal centro della città, lontane tra di loro e “in mezzo” alla totale mancanza, o quasi, di servizi.
Inoltre, gli ammortizzatori sismici della totalità degli edifici installati sostanzialmente non funzionano, la cattiva qualità dei materiali utilizzati per costruire le case è ormai un dato incontrovertibile come dimostrato da crolli, infiltrazioni, allagamenti denunciati da chi vi abita. Senza contare i dati contenuti in un report della Commissione Europea in cui si evidenziano gli sprechi ma soprattutto le infiltrazioni mafiose negli appalti.
Quello che colpisce direttamente al cuore gli aquilani, però, è sicuramente l’essere condannati a vivere in un “arcipelago di periferie”. Come riferisce l’urbanista Georg Frisch, ex coordinatore della ricostruzione, non solo si stanno ripetendo gli errori del passato, ricostruendo le zone distrutte con gli stessi difetti secondo il principio del “dov’era, com’era” (sarebbe dovuto valere, semmai, solo per il centro storico) ma in più si sta trattando la ricostruzione come un problema edilizio invece che urbanistico “senza considerare che la città ha un assetto diverso dalla somma delle sue case”.