Come sta andando il Jobs Act

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A un mese dalla sua entrata in vigore, cosa sta cambiando (e cosa no) con la riforma del lavoro del governo Renzi

di Ivana Giannone

Jobs-Act-744x445È passato oltre un mese dall’entrata in vigore del Jobs act, o meglio dei suoi principali decreti attuativi (contratto a tutele crescenti, abolizione delle collaborazioni a progetto). Nonostante sia ancora troppo presto per decretare il successo o il fallimento del piano lavoro voluto dal governo Renzi, in questi trenta giorni polemiche, aggiustamenti, dichiarazioni e dati (interpretati a favore o contro) non si sono lasciati desiderare e meritano una rapida messa in ordine.

Lo spauracchio del contributo di solidarietà – La novità più amara arriva con il decreto sul riordino dei contratti, attualmente all’esame delle commissioni Lavoro di Camera e Senato. Il testo, infatti, prevede che nel caso si verifichino “effetti finanziari negativi” rispetto ai calcoli della Ragioneria generale dello Stato, il ministero dell’Economia varerà un decreto per introdurre “un contributo aggiuntivo di solidarietà a favore delle gestioni previdenziali a carico dei datori di lavoro del settore privato e dei lavoratori autonomi”.
In parole povere: se le coperture non dovessero essere sufficienti a coprire gli sgravi triennali sulle assunzioni a tempo indeterminato, a finanziare il tutto dovranno essere datori di lavoro e lavoratori autonomi (fra i quali, tra l’altro, si trovano anche le false partite Iva).
Dopo un infuocato articolo di fondo del Sole 24 Ore e una valanga di polemiche dentro e fuori al Pd, il ministro del lavoro Giuliano Poletti ha fatto un passo indietro a nome del governo, assicurando che la clausola di salvaguardia “verrà superata prima della definitiva approvazione del provvedimento”. Il ministro ha precisato, poi, che è stata voluta dalla Ragioneria generale dello Stato e che risponde “a un principio di cautela sugli oneri che potranno derivare dal provvedimento, le cui coperture sono comunque ampiamente sufficienti”.
Insomma, “per evitare polemiche e fraintendimenti”, la clausola verrà cancellata, anche se rimane ancora da capire da dove il governo prenderà le risorse.

Mutuo per tutti? – Dopo l’approvazione di marzo dei decreti attuativi del Jobs Act, in molti avevano sostenuto che le banche non avrebbero accordato ai nuovi assunti a tempo indeterminato le condizioni favorevoli applicate ai vecchi contratti in materia di mutui e prestito.
Previsione purtroppo corretta. Almeno fino a fine marzo, quando UniCredit ha fatto sapere che adotterà i criteri di valutazione finora adottati per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato anche ai lavoratori che godranno del nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Insomma per il colosso bancario la nuova forma contrattuale è sovrapponibile alla vecchia.
Ciò significa – ha sottolineato Gabriele Piccini, Country Chairman Italy – che i nuovi assunti, superato il periodo di prova, potranno accedere a mutui e prestiti secondo i criteri normalmente in uso, che in linea con le evoluzioni del mondo del lavoro valorizzano la continuità lavorativa indipendentemente dalla tipologia di contratto e dalla dimensione aziendale”. Resta comunque da capire se la decisione di UniCredit resterà un unicum o la prima di molte altre.

I dati sell’Inps – Il 10 marzo l’Inps ha reso noti i dati dati definitivi sulle assunzioni nei primi due mesi del 2015. Secondo le stime, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, aumentano le assunzioni a tempo indeterminato (+20,7%), mentre diminuiscono sia quelle a termine (-7%), sia i contratti di apprendistato (-11,3%). In generale, i contratti stabili aumentano dal 37,1% al 41,6%, rispetto al primo bimestre 2014, ma se si guarda alla somma totale dei rapporti di lavoro attivati (968.883) si nota che ce ne sono solo 13 in più rispetto allo scorso anno.
L’interpretazione dei dati, come spesso accade in politica è soggettiva. E se Gigi Petteni (membro della segreteria generale Cisl) vede “primi segnali positivi“, Susanna Camusso (segretario generale Cgil) parla di numeri che “dimostrano la propaganda del governo”.
Per capire, almeno sommariamente, da che parte pende la bilancia sarà però necessario conoscere quanti sono i contratti cessati nello stesso periodo.

(Fonte immagine: http://urbanpost.it/)

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