Corruzione: 1992 – la “rivoluzione” mancata
Doveva spazzare una classe politica corrotta. A più di 20 anni dalle inchieste di “Mani pulite”, però, la società italiana si riscopre più contaminata che mai e con una legge anticorruzione ferma al palo
di Mattia Bagnato
Sono passati 22 lunghi anni da quando Bettino Craxi usciva, scortato, dall’Hotel Raphael di Roma. Ad attenderlo al varco c’erano centinaia di cittadini inferociti. Delusi ed avviliti da un sistema partitico che li aveva derubati senza vergogna. Il grido di rabbia si alzava alto, surclassando quello delle sirene delle auto di scorta. “Vuoi pure queste” urlava la folla, sventolando al cielo migliaia di banconote con fare provocatorio.
Oggi, a più di vent’anni da quella storica giornata, che sancì la fine della prima Repubblica e l’inizio della seconda, tutto sembra essere rimasto immutato. Bloccato come in un’istantanea. Il triste verdetto è emerso dall’incontro che si è tenuto giovedì 16 aprile al Teatro della Sapienza di Perugia durante il Festival del Giornalismo, al quale hanno partecipato eminenti figure del giornalismo italiano: da Liana Milella a Goffredo Buccini passando per Bruno Manfellotto.
Al Panel erano presenti un po’ tutti, sia coloro che quella stagione l’hanno vissuta in prima persona e che, forse, quel giorno erano proprio fuori all’hotel Raphael, ma anche chi in quel periodo frequentava le scuole elementari. Diverse generazioni quindi, tutte ugualmente interessate, però, nel capire cosa sta succedendo al nostro Paese. Un paese dove, nonostante i continui scandali, non sono sufficienti 750 giorni per fare una legge anti-corruzione, sintomo evidente che ha mancare sia proprio la volontà politica più che i numeri parlamentari.
Pensare, però, che in quei giorni di fervore sociale qualcosa sembrava poter realmente cambiare. Le premesse c’erano tutte. L’entusiasmo e la speranza erano così palpabili da potersi tagliare con un coltello. Un’intera classe politica, come ha affermato Goffredo Buccini, stava per essere “distrutta” dagli avvisi di garanzia, che fioccavano neanche fossimo a natale. Tutto si è fermato lì, però. Le bustarelle hanno lasciato il posto all’escamotage dei rimborsi, come quei 6 mld per il MOSE di Venezia inseriti nella legge obiettivo voluta dal Governo Berlusconi.
Così, da “Repubblica delle banane” ci siamo trasformati nel “Paese dei rimorsi”. Il sistema di male affare che avvolge il panorama politico italiano, infatti, adesso si è rigenerato ed evoluto. Un apparato dove, secondo Bruno Manfellotto, il controllato sceglie il controllore e dove la politica non sente più neanche l’obbligo morale di farsi da parte. Infatti, prendendo in prestito le parole del Dott. Davigo, la politica non ha mai smesso di “rubare”, ha solo smesso di vergognarsi di farlo.
In tutto questo, però, qualcosa sembra sia successo, ma non deve farci sospirare di sollievo. Sì, perché mentre all’epoca di tangentopoli si “rubava” per una contorta disciplina d(e)i partito(i), oggi, dietro a tutto questo, non ci sono più le grandi personalità politiche, deus ex machina, che un tempo avevano sempre e comunque l’ultima parole. Adesso le cronache giudiziarie sono piene di personaggi politici di basso rango che si macchiano di questo vile crimine politico, prima ancora che giuridico, per puro interesse personale.
La domanda, allora, nasce spontanea: cosa ha finito per rendere nullo, o quasi, l’immane lavoro portato avanti dal pool di mani pulite? Secondo Alessandro Fabbri, creatore della fortunatissima serie televisiva 1992, la causa va ricercata nella stessa classe politica. Per capirlo, dobbiamo pensare le indagini di Antonio di Pietro & C. come ad una operazione chirurgica, dove la magistratura si era occupata di togliere il male “incurabile” che affliggeva il paese. Sarebbe spettato, poi, alla politica aggiungere quello che mancava per cambiarne il destino.
Tutto questo, però, non è mai accaduto. Considerazione che rende quel: “alzi la mano chi tra di voi pensa di avere la coscienza pulita”, pronunciate da Craxi in Parlamento, quanto mai attuali. Ma a preoccupare ancora di più è la rassegnazione che ha finito per invadere gli animi e le menti degli italiani. Un’impotenza che ha reso vano qualsiasi cambio di rotta. Impotenza, che a tratti si è fatta preoccupazione. Un angustia che era già emersa sul finire dell’epopea di mani pulite quando, secondo Gherardo Colombo, l’entusiasmo andava scemando di pari passo con la paura che quei “magistrati rompi scatole” non si sarebbero fermati solo ai politici.
Così, coloro che per anni hanno sostenuto a spada tratta le ragioni della magistratura, all’improvviso, come per magia, si sono trasformati nei principali destinatari di favori e raccomandazioni. Per questo, con tutta probabilità, la rivoluzione tanto annunciata rimarrà solo un miraggio se cambiata l’Italia non si cambieranno gli italiani.
Il 1992 è stato anche l’anno della discesa in campo di Silvio Berlusconi, ma questa è tutta un’altra storia…
(Fonte immagine: http://www.nanopress.it)