La fine del talk show è vicina?

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Da Barra a Pardo, da Vianello a Ceran, l’opinione sul talk show è unanime: non è finito, ma aiutiamolo a rinascere e a rinnovarsi. Ecco cosa è emerso al Festival del Giornalismo di Perugia sul panel dedicato ai talk show

di Giulia Ciarapica

talk show

Una foto del Panel tenutosi al Festival internazionale del Giornalismo di Perugia. (©Giulia Ciarapica)

“Ma questo talk show è davvero finito? E del talk politico si può o non si deve fare a meno?”

Il pubblico ha risposto con un “no” secco: il talk show non è finito, sebbene la crisi che stia attraversando non sia semplice da superare.

Gli ospiti che hanno preso la parola al Teatro della Sapienza hanno le idee ben chiare: la crisi va affrontata con l’ideazione di un nuovo linguaggio di comunicazione, il talk show va rinnovato, ma abbattere una tipologia di programma così democratico sarebbe un grave errore.

Ne hanno parlato insieme al Festival del Giornalismo di Perugia Francesca Barra, giornalista e scrittrice, Mia Ceran di Millenium Rai 3, Mario De Pizzo di Rai News 24, Pierluigi Pardo di Sport Mediaset e Andrea Vianello, direttore di Rai 3.

A seguire il panel sui talk show un pubblico nutrito, proprio a testimonianza del fatto che della tv si parla, perché la tv è seguita e genera interesse.

Se per Francesca Barra il talk non è finito e di quello politico non si può fare a meno, per Andrea Vianello il talk è in forte crisi, perché, innegabilmente, oggi fa meno ascolto.

Eppure il talk show politico sembra avere una marcia in più, perché dà alla politica la possibilità di esprimersi in modo non banale, con argomentazioni meno scontate. La Barra menziona proprio Matrix, come uno degli esempi di talk positivi e ben riusciti, che nelle ultime puntate si è spinto non solo a parlare di politica, ma anche di cronaca giudiziaria, allargando orizzonti e pubblico.

Non solo, proprio grazie alla cronaca, forse, si parla meglio e più approfonditamente di politica, per cui proprio attraverso il racconto dei problemi della gente, in maniera semplice e diretta, anche la politica viene fuori in modo non banale, appunto.

“Sebbene gli ascolti scendano, come si potrebbe mai fare a meno di un talk show politico?”: alla domanda lanciata dalla Barra risponde Andrea Vianello, ex conduttore di talk. Il talk show è un genere nobilissimo, in cui l’obiettivo chiave è quello di confrontarsi, di parlare, di esprimere opinioni diverse, proprio come ricorda il nome stesso.

berlusconi-a-porta-a-portaLa demonizzazione che il talk ha subito è stata particolarmente virulenta, ma forse non così meritata: c’è stato un momento in cui il talk show politico ha occupato gran parte di alcuni palinsesti televisivi, perché negli anni in cui la politica offriva uno scontro feroce tra berlusconiani e anti berlusconiani era un programma senza dubbio semplice da realizzare.

Non è stato necessariamente fautore di chiarezza dei temi trattati, ma innegabilmente accattivante per chi l’ha seguito, complice la vivacità degli ospiti che sono intervenuti, “azzuffandosi letteralmente a vicenda”, come ricorda Vianello.

“Perderemo un pezzo di informazione se i talk show non ci fossero più” continua Vianello “e perderemo anche un pezzo di democrazia, che invece è importante”.

La libertà di vedere un talk, che può essere realizzato in modo intelligente o in modo totalmente destrutturato, è in mano a chi guarda la tv, a chi decide di optare per un talk in onda su un canale anziché su un altro, ad una certa ora anziché ad un’altra.

Il problema principale sembrerebbe piuttosto quello del numero sempre crescente di questi programmi: ce ne sono troppi, su tutti i canali, trasmessi a tutte le ore del giorno e della sera.

Il Paese è stanco, sembra palesemente assuefatto a questo genere di discussione così inflazionato, ma la soluzione non è certo quella di liberarsi del talk, quanto piuttosto di ripensarlo, idearlo con nuovi linguaggi, nuovi schemi.

“Non basta più far sedere un gruppo di persone in una sala e lasciare che si parlino addosso in contemporanea”, non solo perché non fanno ascolto, ma non fanno neanche buona informazione. Questa è la conclusione, unanime, a cui si è giunti. Per paventare la morte del talk occorre reinventarlo, con un linguaggio nuovo, fresco, originale.

Come fare? La chiave giusta per Barra e Ceran è quella di raccontare i fatti di ogni giorno – dal problema del terrorismo, a quello che ancor più da vicino ci tocca, ossia quello della povertà e della disoccupazione – mettendo da parte ciò che Pardo definisce “gossip politico”.

Il problema, tuona Vianello, è essenzialmente culturale e, per questo, non investe solo i talk show, ma tutta l’informazione: “C’è troppa politica ovunque, la gente è stanca di tutto questo gossip politico”, gli fa eco Pardo, conduttore di Tiki Taka.

Tutti i giornali, da anni ormai, si dedicano ai retroscena della politica, perciò l’obiettivo è quello di rimboccarsi le maniche in una prospettiva culturale avanzata e innovativa: i talk show devono aprire dibattiti, generare discussioni e far sorgere problemi, domande a cui dare una risposta e su cui riflettere.

Questo non risolverà nell’immediato il problema della crisi dei talk show, ma certamente sarà un punto fondamentale da tenere sempre presente e da cui ripartire per reincentivare il genere in sé.

Alla fine del dibattito, arricchito anche dalle ilarità e dalla simpatia dilagante di Pierluigi Pardo, sono arrivate le battute sarcasticamente geniali dei Gazebo, presenti in sala e invitati a salire sul palco da Mario De Pizzo, timoniere dell’incontro.

Il talk show è finito? A giudicare dall’andamento del panel e dall’entusiasmo del pubblico, chiaramente no.

(fonte immagine: http://www.televisionando.it/)

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