Erri De Luca e il suo diritto alla parola contraria
Al Festival del Giornalismo di Perugia un intero panel dedicato ad Erri De Luca e alla sua “parola contraria”: in difesa del vocabolario italiano e del diritto ad esprimere liberamente il proprio pensiero
“Ho espresso la mia opinione e vogliono condannarmi per questo. Vittima per ora è l’articolo 21 della Costituzione italiana”.
Con queste parole lo scrittore Erri De Luca si congeda dai suoi lettori al termine del breve pamphlet La parola contraria (Feltrinelli, 2015) e con la stessa verve impiegata per divulgare la sua parola tra i lettori, si rivolge al nutrito e appassionato pubblico che lo ha atteso nella Sala dei Notari di Perugia durante il Festival del Giornalismo.
Un panel interamente dedicato alla vicenda che vede coinvolto De Luca, accusato di incitazione a commettere reati, nonché di avere istigato al sabotaggio della TAV.
Il processo si sta attualmente svolgendo a Torino e lo scrittore napoletano, introdotto da Malcom Pagani de Il Fatto Quotidiano, al Festival del Giornalismo decide di parlarne con gli spettatori.
“Quest’anno mi hanno invitato al Festival, benché non sia un giornalista ma uno scrittore, perché posso parlare della libertà di espressione dal punto di vista dell’imputato”: la faccenda di incriminazione a carico di De Luca è, appunto, quella di avere incitato a sabotare un’opera pubblica a suo avviso altamente inutile e pericolosa.
Si sta parlando di TAV, questa opera di “alta velocità” che, spiega De Luca, poco cambierebbe in realtà ai fini di accelerazione dei tempi di percorrimento della tratta Torino-Lione. Sulla linea esistente quella nuova risparmierebbe poco meno di un’ora: quale alta velocità, quindi?
“Io la definirei piuttosto modesta accelerazione”, ironizza De Luca. Inoltre la linea esistente, continua lo scrittore, viaggerebbe vuota per due terzi: che senso ha mettere in funzione, contemporaneamente, la linea vecchia e la linea nuova?
Lo scopo sarebbe esattamente quello di non demolire la linea già esistente fra Lione e Val di Susa, dunque, ma di costruirne anche una nuova, molto più grande, inutile e con costi di gestione elevatissimi.
Un’intera comunità, tuona lo scrittore partenopeo, che fino ad oggi è riuscita con la sua resistenza tenace, civile, unanime a ritardare, a ostacolare, dunque a sabotare quest’opera, ora se ne sente minacciata, perché “si tratta di un’opera micidiale”.
Il verbo “sabotare”, che tanto ha dato fastidio alla ditta costruttrice che ha avanzato la denuncia e che ha trovato calda accoglienza presso la Procura della Repubblica di Torino, è in verità molto caro ad Erri De Luca.
Questo termine così apparentemente pericoloso ci è stato regalato dalla storia e dalla lingua francesi e viene dalla parola “sabot”, che significa propriamente “zoccolo”, e rimanda all’inizio dell’epoca industriale.
Spiega De Luca che quando vennero introdotti in Francia i primi macchinari per la lavorazione dei materiali tessili, inevitabilmente una grande quantità di manodopera venne espulsa. Dunque gli operai che erano rimasti a lavorare, per solidarietà e fraternità nei confronti degli espulsi, sabotarono proprio quegli stessi macchinari introducendovi gli zoccoli che avevano ai piedi.
Da quel piccolo danneggiamento materiale nasce in realtà un gesto nobile da parte degli operai. Il sabotaggio, dunque, resta un verbo nobile “che non ho intenzione di farmi togliere dalla bocca, né di farmi censurare”.
De Luca si sente legittimamente testimone e parte in accusa di un guasto arrecato alla sua libertà costituzionale, e per questo – dice – durante la prossima udienza che scade il 20 maggio, giorno peraltro del suo 65esimo compleanno, difenderà le sue parole con le sue parole e festeggerà lo scrittore incriminato (per la prima volta nella storia) che difende il suo vocabolario, il suo diritto al verbo sabotare e la definizione stessa di cittadino che tale verbo ha imparato, applicato, praticato e continuerà a farlo.
Ma Erri De Luca estende il suo pensiero anche a tutto il sistema informativo italiano, ad una stampa che è sempre più attenta ad ubbidire al proprio padrone, più che a soddisfare il lettore. Un giornalismo, quello di oggi, che soffre di “ragioni contingenti”, forse meno costringenti di quelle che potevano esistere nel periodo della dittatura fascista, ma sicuramente contingenti dal punto di vista della censura, poiché costringono i giornalisti ad essere più prudenti e meno liberi.
“L’accusa verso di me sabota il mio diritto costituzionale di parola contraria”, si legge nel libro di De Luca: a quelle poche parole, riportare in una intervista rilasciata dall’autore all’Huffington Post, avrebbero fatto seguito contestazioni e atti “terroristici” in Val di Susa.
“La cosa mi lusinga a dire il vero, non credevo che le parole di uno scrittore potessero essere così potenti. Mi attribuiscono un potere che non ho”.
Risponde così Erri De Luca, con un sorriso ironico e pacato, di chi fa fede alla propria dignità di uomo, di cittadino e di profondo conoscitore del vocabolario e della lingua italiana.