Italicum, final round: fight!
L’Italicum sembra essere arrivato al capolinea, manca solo il voto della Camera. Dentro al PD è ormai guerra dichiarata, renziani e minoranza separati in casa
di Marco Assab
Se qualcuno avesse ancora nutrito dubbi sul fatto che nel Pd coesistano ormai due partiti, inconciliabili ed in guerra tra loro, quanto accaduto il 20 Aprile scorso in commissione affari costituzionali alla camera dovrebbe bastare a dissipare ogni incertezza.
Il pomo della discordia – L’ultima battaglia in casa democratica riguarda l’Italicum, la nuova legge elettorale. Come ricorderete, dopo il primo ok della Camera il testo è passato al Senato, dove è stato approvato nel gennaio scorso con delle consistenti modifiche. In virtù di questi cambiamenti è nuovamente tornato all’esame della Camera, che dovrà approvarlo senza cambiarne una virgola, altrimenti l’iter parlamentare dovrà ripetersi! Si tratta di quel fastidioso “ping pong” parlamentare tipico del nostro bicameralismo perfetto, dove un testo per diventare legge deve essere approvato da entrambi i rami del parlamento in forma identica.
I fatti – Sull’Italicum Renzi deve affrontare un fuoco di sbarramento interno al suo partito, un’opposizione vera e propria. Lo si capisce in modo chiaro il 15 Aprile, quando il capogruppo Pd alla Camera Roberto Speranza rassegna le sue dimissioni, primo segnale forte indirizzato a Renzi. Nella notte l’assemblea Pd vota a maggioranza a favore del testo, ma una parte della minoranza diserta il voto. Il 20 Aprile 10 esponenti della minoranza Pd in commissione affari costituzionali della Camera vengono sostituiti. Si tratta di nomi importanti, tra i quali Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi e Gianni Cuperlo. Il 22 Aprile il testo viene licenziato dalla commissione all’unanimità e passa all’esame dell’aula per il voto definitivo. Determinante in questo frangente la sostituzione dei 10 “dissidenti” e la non partecipazione al voto delle opposizioni che si trincerano nel solito “Aventino”.
Italicum 2.0 – Rispetto alla prima versione l’Italicum modificato ed approvato al Senato, che viene adesso sottoposto al voto della Camera, presenta alcune varianti. Innanzitutto si va incontro ai partitini, con una soglia di sbarramento al 3%, mentre nella prima versione era dell’8% per i partiti fuori coalizione, del 4% per i partiti coalizzati e del 12% per le coalizioni. Sono tornate le preferenze ma i capilista restano bloccati, quindi scelti dai partiti, ed hanno la possibilità di candidarsi fino in dieci collegi… Per la serie: o entro, oppure entro. Il premio di maggioranza viene assegnato alla lista che ottiene il 40% delle preferenze, soglia alzata dall’iniziale 35% e dal 37% di seconda battuta. Elemento peculiare di questo sistema, probabilmente l’unica cosa pienamente condivisibile, è la certezza del vincitore. Perché nell’ipotesi in cui nessuna lista raggiungesse il 40% si andrebbe al ballottaggio tra le due liste più votate, esattamente come per le elezioni comunali.
E il centralismo democratico? – Quanto alla bagarre interna al Pd, la minoranza, che si richiama alla storia della sinistra italiana, dovrebbe ben conoscere il principio di Lenin del centralismo democratico. “Libertà di discussione” interna al partito, ma una volta che la maggioranza ha preso una decisione, “unità d’azione”. Ebbene a Renzi va riconosciuto che ogni decisione presa in seno al Pd è sempre stata legittimata da una discussione e da una messa ai voti. Paradossalmente è proprio lui a perseguire questo modus operandi. Nello specifico dell’Italicum abbiamo una legge elettorale non bella, anzi bruttina, frutto di larghe intese, ma che sicuramente rappresenta un passo avanti rispetto al Porcellum. Si faccia dunque, sicuramente la si potrà ritoccare in futuro, quando queste larghe intese termineranno, ma intanto si faccia! Lo abbiamo già detto in altre occasioni: democristiani e comunisti non sono mai andati d’accordo. Poniamo la questione in questi termini perché è evidente che c’è una notevole differenza di vedute, a 360°, tra la componente maggioritaria di Renzi e quella minoritaria che si richiama ad una tradizione politica nettamente diversa.
Pericolo autoritarismo? – Attenzione però a liquidare le preoccupazioni della minoranza come fastidiosi ostacoli alla politica del fare a tutti i costi perché, fino ad oggi, non si è fatto nulla. Oggetto della discussione non è solo l’Italicum, ma l’incrocio tra Italicum e riforma costituzionale del Senato. Come ha osservato giustamente Pier Luigi Bersani, la riforma della costituzione che depotenzia il Senato, unita al premio di maggioranza bulgaro della nuova legge elettorale, affiderebbe al vincitore delle elezioni un potere mai visto prima nella storia della Repubblica italiana. Vengono meno alcuni contrappesi, alcune garanzie d’equilibrio, che i nostri padri costituenti avevano attentamente previsto dopo l’esperienza traumatica del fascismo. Insomma si sta imboccando, senza dirlo esplicitamente, la strada del presidenzialismo. Quando fu Berlusconi a provarci venne stoppato dal voto contrario del referendum costituzionale del giugno 2006…
In definitiva: non è da escludere che il governo possa ricorrere al voto di fiducia per far passare l’Italicum alla Camera. Ospite alla trasmissione otto e mezzo di Lilli Gruber, Renzi è stato piuttosto chiaro: se l’Italicum non passa il governo cade. Si tratta del voto definitivo, quello che trasformerebbe in legge (in vigore dal 1° Luglio 2016) il testo. Fiducia o no, è una vera e propria resa dei conti.
(fonte immagini: http://www.corrierequotidiano.it/;
http://www.jobsnews.it/;
http://tuttoggi.info/)