“Cade la terra”, tra abbandonologia e rinascita
Dai luoghi dell’oblio alla parola scritta, ecco “Cade la terra”, il romanzo d’esordio di Carmen Pellegrino, abbandonologa, restauratrice della dimenticanza, narratrice della morte che torna in vita
Quando la morte si intreccia alla vita e la vita solleva la morte dalle radici sotterranee, accade che ogni fremito, dapprima silenzioso, inizi a sprigionare un profumo d’incenso che ricuce gli strappi disegnati sui muri, frastagliati e sfilacciati dal tempo, dal vento e dalla pioggia.
L’erosione dell’abbandono chiede perdono, urla un disperato Addio che nelle mani di Carmen Pellegrino si trasforma in un timido Benvenuto. È così che l’anima si riaccende nei luoghi della dimenticanza, irrobustiti dalla parola sferzante di una abbandonologa che accoglie, come in un ventre materno, il passato e le vite di quanti lo hanno attraversato.
La magia del primo romanzo di Carmen Pellegrino, Cade la terra, è tutta qui: concedere nuova vita togliendo polvere e fango all’esistenza precedente.
È la storia di molte storie questa, una storia che richiama a sé la potenza dell’oblio e lo veste con stracci d’accoglienza: Estella, la protagonista, affiora sulle labbra di Alento, il borgo abbandonato che nasce cresce e muore nella fantasia della Pellegrino, abitato dai fantasmi che, proprio Estella, cercherà di restituire ad un avvenire già compromesso dal riposo eterno.
Estella torna nel luogo della (sua) dimenticanza, con il cane Gedeone e con un vestito da suora. Liberatasi francescanamente da ogni rimasuglio di materialità, spogliata dell’unica veste con cui copriva la nuda carne in quel febbraio nevoso, la diciottenne prende servizio come istitutrice di Marcello nella casa di Giorgio e Ada de Paolis. “In questa casa sono passati molti degli alentesi: il paese vi entrava e si perdeva a poco a poco, lasciando la sua ombra sulle pareti“.
Il ritorno ad Alento è il pretesto caparbio per narrare le storie di chi ci ha vissuto e ne è uscito sconfitto, per lo più ignaro – fino alla fine – di aver portato addosso il peso di ciò che non sarebbe mai potuto essere.
Libera Forti, Cola Forti, Lucia Parisi, Consiglio Parisi, Maccabeo, Custoda: sono loro gli alentesi che vivono una morte ancora non del tutto libera, ma gravosa e ostinata, alla luce delle candele che Estella lascia ardere durante le cene che, ogni anno una volta l’anno, prepara per i suoi ospiti caduti sotto i colpi di una terra fertile e arida al tempo stesso.
I brandelli della memoria di un venditore di vasi da notte si confondono con quelli di un anarchico e di una donna Libera e prigioniera della sua stessa vita, mentre le emozioni silenziose dei ricordi ritrovano coraggio grazie alla scrittura della Pellegrino, che delinea personaggi di una delicatezza e di una ingenuità commoventi.
Mentre la terra franava sotto i loro piedi e il sibilo del terremoto sgranava case, muri, finestre, tetti e coscienze, i vivi diventavano morti, a uno a uno, ed Estella li ha raccolti, a uno a uno, cercando di cambiarne il destino, costringendoli a ripercorrere esistenze desolate in vista di una finale diverso, che non arriverà mai.
Il calore della vita si è già spento ed è rimasta solo la solitudine di un abbandono mai vissuto realmente, ma che ha concesso spazio alla nostalgia del cuore che addolcisce l’asprezza di storie marce e putrefatte.
“Finché i muri reggono, i miei ospiti esistono. Li tengo qui con me e li riporto alla loro vita di prima”.
La dolce ostinazione di Estella ci racconta i capricci, le ferocie, le crudeltà e le colpe di un paese finito, mentre affiora, chiaro e forte, il grido di donne che scalciano in seno a questo romanzo.
È una maternità oscura quella che nasce dalla terra in bilico e dalle crepe dei muri tutt’intorno, una maternità che pesa sulle spalle di femmine, più o meno giovani, che percorrono le pagine di Cade la terra: a partire dalla protagonista, così tenace e dura, incrollabile come le macerie che sfiora, passionale come il lutto che si porta dentro, mentre gli dona nuova vita durante le cene con gli spettri della città di Alento.
Libera Forti, la figlia adottiva dell’anarchia ereditata da suo padre Cola Forti, fautore di quel libero pensiero che fece indossare a sua figlia già nel nome: il rifiuto del matrimonio con un uomo che non amava, l’opposizione costante alla gabbia coniugale, il desiderio del mare, del vento, dell’indipendenza.
E poi Lucia Parisi, la sciagurata primogenita di Consiglio, che fin dal primo vagito avrebbe dovuto scontare la pena di non essere nata uomo, ora destinata al suicidio, rassegnato scampolo di libertà. E ancora Custoda, ingabbiata nei ruoli di madre e moglie, attraversata dalla morte e vissuta nella mutezza della sottomissione.
Donne dalle fattezze friabili ma che nascondo la durezza del ferro e la lucentezza di un’ametista, spigolose per difesa, combattenti vittoriose anche nella sconfitta. Femmine dal cuore grande e gravide di speranze e aspettative, celate sotto la coltre dei calcinacci che i mariti, i padri e i padroni – uomini rozzi, ignoranti e pure illusi e ingenui, nella loro prepotenza analfabeta – gettano loro in testa.
Donne sognatrici ma concrete, sensibili ma svelte nella pratica quotidiana, seppur vessate e umiliate da omuncoli patetici, di vedute limitate, costretti nella loro innocenza di bambini appena nati.
Carmen Pellegrino esordisce con un primo romanzo che è un capolavoro di dolore e rinascita, in cui l’oblio non si nasconde più tra le macerie, ma si irrobustisce contro i raggi di luce di una nuova esistenza, che odora sempre e comunque di eternità.
Storie sfilacciate, rattoppate e riunite in un grande vaso di ceramica e fango, posto al centro della tavola imbandita in onore dei fantasmi di Alento.
La struggente poesia della Pellegrino disegna una geografia della dimenticanza che si snoda tra la vita e la morte, percorsa da rivoli di umanità e inquietudine. Uno stile che lascia il segno, parole di velluto che accarezzano l’anima e la trascinano con sé, nella voracità dell’addio.
Cade la terra
Carmen Pellegrino
Giunti, 2015
pp. 220
Una risposta
[…] 2) Cade la terra di Carmen Pellegrino : scoprirete l’arte dell’abbanologia, ritroverete il passato e la memoria sotto forma di vita, intrappolata nelle macerie di vecchie case abbandonate. (per leggere la mia recensione su Ghigliottina.it clicca qui) […]