The Australian job
L’indignazione nostrana a “due velocità” e la storia degli italiani che si fanno sfruttare nelle “farm” in Australia per ottenere un “permesso di soggiorno”
Dal quel che si è appreso dai media, per gli australiani è stato uno shocks coprire come molti giovani europei, giunti nel paese “legalmente”, vengano sfruttati nelle “farm” dell’entroterra. Per capire di cosa stiamo parlando, però, dobbiamo tornare indietro di alcuni giorni, a quando Il Corriere della Sera ha “intercettato” una notizia proveniente, appunto, dall’Australia.
Infatti, è stata Four Corners, trasmissione della ABC locale, a condurre un’inchiesta sui giovani lavoratori stranieri impiegati nelle fattorie australiane grazie al visto “Vacanza-lavoro”. Stando a quanto è emerso non sono pochi quelli che hanno subito minacce, abusi, molestie verbali, persino violenze sessuali. Senza contare le giornate lavorative estenuanti, le paghe misere e le condizioni degradanti in cui raccolgono frutta, pomodori, patate e uva. In particolare, la trasmissione ha raccolto la testimonianza di alcuni ragazzi inglesi e asiatici.
Tuttavia, tra gli “schiavi” ci sarebbero anche molti connazionali. Marianna Stagnitti, presidente del “Comitato italiani all’estero” di Brisbane, ha raccontato che “in un solo anno ho raccolto circa 250 segnalazioni sulle condizioni di lavoro nelle farm da parte di ragazzi italiani, alcune erano terribili”. Si parla anche di 12 ore di lavoro consecutive, in qualsiasi condizione atmosferica, senza poter neanche andare al bagno. I dati ufficiali del dipartimento dell’immigrazione spiegano che a giugno scorso erano circa 145mila i giovani stranieri arrivati in Australia con un visto “Vacanza-lavoro”, di questi 11 mila erano italiani – attualmente dovrebbero essere 15 mila, età media 31 anni.
In che cosa consiste il visto “Vacanza-lavoro”? Il “Working Holiday Visa” viene rilasciato ai cittadini di alcuni paesi industrializzati, di età compresa tra i 18 e i 31 anni, che vogliono recarsi a lavorare a tempo pieno in Australia, per un anno. Il “permesso di soggiorno” può essere esteso per un altro anno se il richiedente accetta di prestare servizio (tre mesi) come agricoltore o allevatore, percependo una paga oraria che va dai 10 ai 25 dollari australiani – la legge sarà a breve modificata: il “permesso” viene esteso solo a chi viene pagato, prima si poteva fornire una sorta di “volontariato” usufruendo unicamente di vitto e alloggio.
Chiaramente questo sistema dà ai datori di lavoro il “potere” di decidere sulla permanenza nel paese dei propri dipendenti. Seguendo sempre il racconto della Stagnitti: anche se le segnalazioni non sono molte per ovvi motivi, si capisce che non di rado il meccanismo della “Vacanza-lavoro” favorisce veri e propri ricatti: “alcuni datori di lavoro pagano meno di quanto era stato pattuito e, se qualcuno protesta, minacciano di non firmare il documento per il rinnovo del visto. Altri invece fanno bonifici regolari per sembrare in regola, ma poi obbligano i ragazzi a restituire i soldi in contanti. E poi ci sono i giovani che accettano, semplicemente, di pagare in cambio di una firma sul documento”.
Le condizioni affinché la macchina dell’indignazione a “due velocità” nostrana si mettesse in moto c’erano tutte. Il leit motiv del piagnisteo generalizzato si può riassumere con poche parole: “i nostri ragazzi partono per cercare lavoro, dopo un lungo viaggio si accontentano del più misero, alla fine, non fanno altro che diventare schiavi”. Insomma, “che cattivi questi australiani!”. Fortunatamente, qualcuno si è ricordato della storia della “pagliuzza” e della “trave”.
Si badi bene: ogni forma di sfruttamento è ben più che deprecabile. I lavoratori devono essere retribuiti per il lavoro che svolgono in maniera equa, nondimeno le condizioni in cui operano devono essere degne di un essere umano. Ora, però, mentre l’Italia si è talmente abituata a forme “graduali” di precarizzazione – e non di stabilizzazione come qualcuno vorrebbe sostenere – tanto da non vedere lo “sfruttamento”, l’Australia ha un sistema completo anche per il solo fatto che riesce a correggere i suoi errori – che da noi invece diventano spesso la “regola”.
Come scrive Stefano Vergini su L’Espresso: “quelli evidenziati da “Four Corners” sono solo i casi sfortunati”. Magari l’Australia non sarà il massimo in quanto ad “accoglienza”, tuttavia, “invece di costringerli ad entrare illegalmente, come avviene oggi per i tanti extracomunitari che continuano ad arrivare sulle nostre coste, adottando una politica migratoria simile a quella del “working holiday visa” si permetterebbe ai migranti di avere due anni di visto per stare nel Paese, tempo utile per imparare la lingua e trovarsi un lavoro. Al contempo, le aziende italiane beneficerebbero di manodopera a basso costo, come peraltro già avviene. Ma tutto questo avverrebbe in modo legale, mentre oggi da noi le campagne sono ancora teatro di uno sfruttamento ben più pesante rispetto a quello visto nei casi raccontati dalla tv australiana”.