Elezioni regionali: per il PD in Liguria la paura fa 90
Doveva essere una passeggiata di salute, la conferma definitiva dello strapotere renziano. Invece, a due settimane dal voto, il PD si riscopre più fragile che mai
Ci siamo, il momento tanto atteso finalmente è arrivato. Dopo l’Italicum e la riforma della “buona” scuola, infatti, il PD targato Raffaella Paita è chiamato alla sfida più importante. Una prova di forza che passa per quelle elezioni regionali, solo pochi mesi fa considerate una pura formalità, che adesso rischiano di trasformarsi in un’insidiosissima buccia di banana. Un banco di prova, come da molti è stato definito, che proprio in Liguria, roccaforte fino ad ora inespugnabile, dovrà servire a testare la solidità di un partito, ma soprattutto di un progetto politico.
Ma ‘ndo vai se il consenso non ce l’hai – Il prossimo 31 maggio, infatti, potrebbe essere ricordato come l’anno zero per un PD stretto tra una diaspora che non accenna ad arrestarsi, iniziata con lo strappo di Cofferati e le accuse di aver favorito una storica deriva “destrista”. Il momento è catartico, Renzi ne ha dovuto prendere atto mettendo da parte per una volta l’incrollabile sicurezza a cui ci ha abituati. In Liguria, più che altrove, è in ballo il destino di una formazione politica che si è riscoperta fragile, terrorizzata dalla possibilità di non vincere, o meglio ancora di stravincere.
La paura fa 90 – A pensarci bene, però, i segnali di una possibile debacle c’erano tutti. L’esperienza ligure, infatti, era già partita con il piede sbagliato, come hanno palesato le “chiacchieratissime” primarie. Come se non bastasse, a rovinare i sogni di gloria “dell’uomo solo al comando” ci si è messo anche quella “serpe in seno” di Pippo Civati. L’ex “compagno di merende”, infatti, ha voluto prendersi la sua personale rivincita appoggiando un candidato esterno, il Milibrand nostrano Luca Pastorino. Tanto basta per far tremare di paura Matteo Renzi, pronto a rispolverare un lessico che sembrava ormai archiviato. Quel glossario che parla di voto utile e di una “sinistra masochista” a cui piace perdere e far perdere.
Dall’Inghilterra con furore – Così, sull’onda lunga dei risultati elettorali inglesi, quelli che hanno visto la sonora sconfitta dei Labour, il Presidente-segretario non ha perso l’occasione per ribadire che quando la sinistra diventa troppo sinistra è destinata alla sconfitta. Un richiamo a quell’unità partitica che, però, fino ad ora non era sembrata una priorità. Si sa, quando si tratta di riconquistare consenso vale tutto e il contrario di tutto, ieri come oggi. Segnali inequivocabili, che sembrano dimostrare che la terra sotto i piedi di Matteo Renzi comincia a mancare.
“Operazione Pastorino” – Dal canto suo, però, Pippo “Wallace” Civati non vuole sentire ragioni, il voto in Liguria ha il profumo della prova di maturità. Infatti, colui che solo cinque anni fa sembrava “culo e camicia” con Matteo “il Nazareno”, adesso sembra intenzionato a lasciare il nido. Pronto a spiccare il volo verso un una nuova “cosa rossa”. L’idea di fondo, infatti, sarebbe quella di unire tutte le forze a sinistra del PD, a partire dallo stesso Cofferati, per riempire quello che secondo lui è uno spazio sconfinato che aumenta a dismisura. Il nuovo soggetto politico, Grillo permettendo, dovrebbe volgere lo sguardo verso i “cinque-stelle”.
O si fa la Liguria o si muore – Questa, però, è tutta un’altra storia. Per adesso, a due settimane dal voto, quello che conta davvero è portare a casa il risultato. Così, se da un lato si fa sempre più concreta la necessità di preservare il gradimento fin qui maturato, anche a costo di “scomode” alleanze (vedi Verdini & company), dall’altro invece c’è la flebile speranza di mettere in difficoltà il progetto di dare vita ad un “schieramento pigliatutto”. Una sorta di rivisitazione delle larghe intese in chiave locale, sintomo inequivocabile che una sconfitta qui, anche se di misura, potrebbe essere letta come una punizione per gli scandali e la mala gestione degli ultimi vent’anni.
Si potrebbe spiegare così la scelta di Renzi di seguire da vicino la candidata PD in una campagna elettorale in cui in ballo c’è molto, se addirittura tutto. Ma soprattutto, ecco chiosato il perché di cotanta attenzione per la dimensione territoriale. Un salto nel passato, favorito dalla paura di perdere consenso. Lo stesso timore che ha spinto il Governo a puntare tutto su una “task force” che, ad elezioni finite, dovrà intercettare le istanze della società civile, ridisegnando un partito a trazione “locale”. Infatti non deve stupire la scelta di accantonare, anche se solo momentaneamente, il progetto di un “Partito Nazione” e i “nobili” propositi di un PD a vocazione nazionale. Così, adesso che il sogno di un “cappotto regionale” sembra ormai tramontato, a Matteo Renzi non resta che ritornare con i piedi per terra.
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