Rome Independent Film Festival, i premi del 2015
Si è svolta a Roma la quattordicesima edizione del RIFF, il Rome Independent Film Festival. Le sale del The Space Moderno e del Nuovo Cinema Aquila hanno ospitato i lavori originali di numerosi registi nazionali ed internazionali. Sullo schermo il cinema meno altisonante e commerciale, premiati corti e lungometraggi all’insegna di novità e scoperta
Dall’8 al 14 maggio, Roma è stata orgoglioso teatro del RIFF 2015 – Rome Independent Film Festival, dislocato tra le sale del The Space Cinema Moderno in Piazza della Repubblica e quelle del Nuovo Cinema Aquila. Giunto ben forte alla XIV edizione, anche quest’anno il RIFF si è proposto di introdurre innovazioni ed originalità nel panorama cinematografico italiano e di creare, come recita l’ammiccante manifesto di presentazione, (in)dipendenza.
Due sale del Moderno sono state messe a disposizione per sei giorni di proiezioni variegate ed interessanti, a partire dalle 16 fino a chiusura. Sono stati trasmessi corti italiani e stranieri, lungometraggi, animazione e documentari accomunati tutti da un profondo intento anti-commerciale: la richiesta che il prodotto fa allo spettatore è quella di allontanarsi dal tracciato e scoprire le mille armi della creatività. Per sfidare il tempo e gli impegni, inoltre, il Nuovo Cinema Aquila ha trasmesso repliche dei film eventualmente perduti; il RIFF ci ha tenuto a non passare “inosservato”.
D’eccezione anche la giuria, composta da dieci membri eterogenei, esperti di cinema e a loro volta in esso coinvolti come attori, sceneggiatori o registi: lo scopo di tale varietà è quello di volgersi alle pellicole con uno sguardo globale, che potendone apprezzare ogni aspetto, sappia dunque assemblarli tutti nel significato reale delle stesse (per nomi e bio dei membri della giuria rimandiamo al sito del RIFF).
Oltre alle pellicole in competizione, il RIFF ha ospitato vari outsider che ne hanno arricchito il panorama. Tra questi spiccano le tre webseries tutte italiane, che meritavano un buon palcoscenico per presentarsi: Emergency Exit, uno spaccato delle vite di chi lascia l’Italia per l’estero, con sete di nuove opportunità, e più paura che speranza; Narcissus, storia di Maya, artista dal passato oscuro che aspetta la redenzione; infine Quelli che il 2000, il primo vero tentativo di portare sullo schermo la vita dei nati negli anni ’90, di chi ha sostato nella linea di confine tra “passato” e “modernità” e soffre, più di tante altre generazioni, il duro compito di crescere.
“Out of competition” d’eccezione anche i sette vincitori dei Teddy Awards di Berlino, premio prima sociale che tecnico, con l’annuale obbiettivo di smuovere tolleranza e ragionamento su temi caldi o difficili. Quest’anno un grande grido di solidarietà e speranza nei confronti dell’omosessualità, analizzata in vari aspetti con il sostrato comune della “lotta per il diritto di essere”. Dalla semplice storia d’amore, ingiustamente incompresa e repressa dei due giovani di San Cristobàl, sino al lavoro d’avanguardia di Bruce LaBruce, regista di Pierrot Lunaire, storia muta e cantata (ebbene, è possibile) di una donna che si finge uomo che si finge donna che si finge uomo.Un vero bagno di folla per The Circle, contraddittoria e dolorosa vita dell’unico circolo gay degli anni ’40 ad essere sopravvissuto al Nazismo, non senza difficili compromessi. La selezione dei Teddy Awards è stata toccante, nel senso completo del termine: il senso di giustizia ha provocato moti fisici oltre che del cuore e non ci si poteva augurare diversamente.
Nove i premi consegnati dal RIFF in persona per Miglior Corto, Miglior Corto Studenti, Miglior Lungometraggio, Miglior Corto Animato e Miglior Documentario nazionale ed internazionale. Ospite d’onore nella serata di premiazione la splendida Caroline Goodall (Schindler’s List, Nymphomaniac), protagonista del film in gara The Elevator, per il quale ha ricevuto una speciale menzione, e tanti altri tra attori e registi emergenti, interessati alla scoperta.
Fair Play e Kebab & Horoscope trionfano come Miglior Film Internazionale a parimerito: nel primo Anna, velocista che desidera partecipare alle olimpiadi conosce il lato oscuro della competizione, con lei anche sua madre che perde di vista il significato di benessere per sua figlia; il secondo, una commedia triste su solitudine ed allegria, racconta di un gruppo di persone in cerca d’amore che il regista, Jaroszuk, con un filo di perfidia abbandona sulla scena, guardandoli incontrarsi con la vanità delle ricerche.
Tra i nazionali sale sul podio La mezza stagione di Danilo Caputo, tre vite fuori dal coro in una città italiana di provincia come tante, colpiscono lo spettatore portando in piazza le difficoltà che hanno le piccole realtà italiane nel seguire la velocità del mondo, ed il luogo sterile in cui vengono dunque relegate, riassunto poi nel buffo termine “a metà”. Per i corti invece, il fortunato Uomo di pietra di Scivoletto racconta l’ultima esperienza di Edoardo Rubettini, un gran documentarista scomparso prematuramente proprio durante le riprese del suo omonimo lavoro.
The old tree, rapporto difficile e metaforico tra un padre e un figlio, sconfigge tutti gli altri corti animati, diremmo anche a ragione, compreso The bigger picture, condidato agli Oscar 2015. La giuria non delude gli affezionati e seleziona, senza preconcetti, le idee migliori. Una premiazione assolutamente sana, che festeggia il talento e la creatività, valori antichi che il cinema commerciale tenta di seppellire sotto la sabbia. Resta forte la tentazione di domandare a chi critica pedissequamente il cinema italiano, se conosca queste altre realtà o sguazzi nella disinformazione fertile dei titoli scontati. L’Italia “pensa” ancora molto, ci ricorda il RIFF, se spegnate la televisione arriva forte e chiaro il lavorio di meningi.