“Isla Neruda”, omaggio al poeta anima del mondo
Il Teatro Due di Roma per il DOIT Festival ha ospitato “Isla Neruda”, di e con Antonio Sanna, spettacolo ispirato dalle opere del poeta cileno che punta, in un’atmosfera di dolce e sofferto coinvolgimento, a raccontarne le peregrinazioni, fisiche ed umane
“Ho bisogno del mare perché m’insegna: non so se imparo musica o coscienza”, scriveva nel 1964 Pablo Neruda nel suo Memorial de Isla Negra. Incapace di scindere sé stesso dal viaggio che per un’intera vita lo dominò, lo costrinse, lo mutò irreversibilmente. Poeta avventuroso e uomo insaziabilmente curioso, Neruda visse i drammi della sua terra, il Cile, l’esilio forzato e le mille porte di casa collezionate come un placido destino: soffrì e gioì, e sublimò scrivendo.
Neruda non visse il tormento della sua identità, sapeva perfettamente, anche se lontano, chi lui fosse e, quando gli fu impedito, per contro lo gridò prepotentemente. “La pazzia, una certa pazzia, va molte volte a braccetto con la poesia” affermava in Confesso che ho vissuto, e c’è una dolcezza di sguardo e una serenità d’opinione in queste parole da suscitare una certa invidia. Di certo il rimpianto di non aver potuto vivere sensibilmente una mente gentile e favolosa, come quella di Neruda.
Con questo intento, chissà, o uno di certo similare, nasce lo spettacolo di Antonio Sanna “Isla Neruda”. Liberamente tratto dalle due opere sopracitate, vede Sanna regista ed attore protagonista, affiancato dal violino di Claudio Merico e dalla presenza argentina di Laura Amadei. In scena al Teatro Due di Roma per il DOIT Festival (Drammaturgie Oltre Il Teatro) il 16 e 17 maggio, Isla Neruda splende in questa rassegna e si conquista un trattamento speciale.
Una scena molto tenue: valigie, qualche petalo o foglia, piccole panche e tre personaggi. Merico seduto a lato, abbracciato al suo violino, agisce da osservatore muto e da aiutante buono, le sue battute sono note musicali e crea tra le sue corde la magia dell’atmosfera. Sanna vestito di bianco, interpreta un convincente Neruda, anima le sue ruggenti parole e accompagna lo spettatore in un viaggio fisico tra i luoghi di vita del poeta, e in uno mistico nel fiume d’inchiostro della sua poesia.
Laura Amadei dialoga con il poeta e, versatile come la poesia stessa, cambia continuamente identità: eccola nei panni del giovane Pablo, eccola guizzante personificazione della gioia, del dolore, dell’anima, dell’acqua, della patria, eccola ancora seducente donna tra le donne amate da Neruda, esile e multiforme dà il vero piglio alla rappresentazione.
Toccante in special modo la parte dedicata alla morte di Federico Garcìa Lorça e Miguel Hernandéz, assassinati in Spagna dal Regime, cui Neruda dedica versi pieni di rabbia e sofferenza, grazie ai quali per la prima volta sale sul palco un’ospite segreta, che s’era tenuta in disparte fino ad allora: l’ingiustizia. Lo spettatore sbatte con violenza contro i flutti del dolore, che ha investito la vita del poeta, e lo assaggia, se ne pasce grazie allo straziante tremore della Amadei, che con il corpo dice quanto la poesia ha taciuto.
Ancora incanto per la chitarra di Antonio Sanna, introdotta in due momenti chiave della rappresentazione, che intona ballate dolceamare sostenuta appassionatamente dal violino. Il pubblico tace ammirato mentre risuona languida una vecchia canzoncina per bambini “Inès, Inesita, Inès”, tenera e triste, senz’altro che si muova. Ecco colta una bella parte di Pablo Neruda: l’interezza della sua poesia, la completezza delle sensazioni. Un poeta che è musica, canto, suoni, fischi, lacrime e inchiostro, che senza un solo di questi elementi, è fuggevole e lontano. Un ottimo lavoro di incanto e ammirazione, rispetto profondo e lucente celebrazione va solo lodato, e dunque tant’è.
Il DOIT continua fino al 23 maggio e si chiuderà con la premiazione delle drammaturgie vincenti la sera successiva. Si consiglia caldamente un’occhiata agli ultimi titoli di un festival organizzato con perizia e premura.
Per info: www.chipiuneart.it/doitfestival