Intercettazioni, una “questione morale”
Punire gli editori e i giornalisti che pubblicano le intercettazioni non rilevanti penalmente? Più tutela dei “potenti” che della “privacy”
Non se ne parla molto perché è in generale un argomento delicato – in prossimità delle elezioni regionali lo diventa ancora di più – d’altra parte, la nuova normativa sulle intercettazioni è un tema fondamentale per il governo. Al momento fa ancora parte della “riforma del processo penale”, ma potrebbe essere stralciata.
Nel testo finale della proposta di legge, elaborato dalla Commissione guidata dal “quasi” Guardasigilli Nicola Gratteri, dovremmo trovare scritto: “in qualsivoglia richiesta o provvedimento (a eccezione delle sentenze) non può essere inserito il testo integrale delle intercettazioni, a meno che la riproduzione testuale dell’intera comunicazione intercettata non sia rilevante ai fini della prova”.
Per la stampa questo significa: divieto di pubblicare intercettazioni, per l’appunto, “non penalmente rilevanti”. Parallelamente, dovrebbe essere introdotto il reato di “pubblicazione arbitraria di intercettazioni”.
Intervistato da Giovanni Minoli per Mix24, Gratteri ha spiegato: “siccome appena si arresta la persona l’avvocato ha diritto ad avere copia integrale di tutti gli atti, quindi anche delle intercettazioni, già quando va nelle mani di cinque, sei, dieci avvocati ormai non si controlla più. E quindi il problema va risolto alla radice, nel senso che nell’informativa si devono inserire solo le intercettazioni che riguardano il corpo del capo d’imputazione, il reato. Il gossip e le corna non vanno inserite”.
La pena prevista per la “pubblicazione arbitraria” va dai 2 ai 6 anni; “abbiamo previsto questa pena non perché il giornalista andrà in carcere – ha precisato sempre Gratteri – ma per avere la possibilità di intercettare il giornalista, di avere i tabulati del giornalista, quelli dei suoi amici, per incrociare i dati e capire”.
Ora, va bene che bisogna trovare “un equilibrio tra tutela della privacy, diritto di cronaca e diritto dei cittadini di essere informati” – hanno risposto Raffele Lorusso e Santo Della Volpe, rispettivamente segretario e presidente della Federazione Stampa (FNSI) – tuttavia, “va compreso una volta per tutte che è dovere dei giornalisti diffondere le notizie di pubblico interesse, indipendentemente dalla segretezza delle stesse”. Da sottolineare la parola: “dovere”.
Sentiti dalla Commissione Giustizia della Camera, seppur con diverse sfumature, i giornalisti (tranne il direttore di Panorama) hanno ribadito questa posizione. Per esempio, il direttore de La Stampa Mario Calabresi, richiamando i colleghi a un maggior rispetto del codice deontologico professionale, ha detto: “un conto è il pettegolezzo, la comunicazione riservata che non ha niente a che fare con il processo, ma ci sono comunicazioni che pur senza rilevanza penale possono mettere in luce comportamenti che l’opinione pubblica ha il diritto di conoscere”.
Marco Lillo, capo redattore de Il Fatto Quotidiano, ha ricordato come “gli avvocati avrebbero a disposizione gli atti per esigenza di difesa e questo in altre situazioni, per esempio Calciopoli, ha permesso, mediante la pubblicazione di atti non contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare, ai cittadini, all’opinione pubblica e alla giustizia sportiva di farsi un’idea più completa del caso”.
Invece, per quanto riguarda i casi di lesa privacy “bisogna ricordar che sono una trentina in più di venti anni e quindi la verità è che non si interviene per tutelare la privacy dei cittadini ma quella dei potenti”.
Su questa linea, introdurre sanzioni pecuniarie importanti, permetterebbe solo a pochissimi editori di rischiare la pubblicazione di intercettazioni; come ha detto Anna Del Freo, vice-presidente della FNSI: “in un contesto economico come quello di adesso, le sanzioni pecuniarie ci metterebbero nelle mani di editori, che non hanno più neanche liquidità per farvi fronte, quindi l’input sarebbe di andare “piatti” nel trattare certi temi”.