Colore e modernità: David LaChapelle in mostra a Roma
Fino al 13 settembre 2015 il Palazzo delle Esposizioni di Roma ospita la mostra dei capolavori di David LaChapelle. Nelle sale tutti i cicli fotografici più famosi dell’artista pop, tornato nella sua città ispiratrice. Colori vivaci, soggetti patinati e ironia noir confermano la meritata fama del fotografo di tabloid
Un tempo grande gloria per gli artisti era quella di non essere compresi, restare un privilegio degli esperti e avvicinarsi al popolo solo per essere ammirati da lontano. La cultura Pop successivamente, ha introdotto la possibilità che l’essere capiti da tutti fosse un incentivo per essere ricordati più a lungo, e in fondo è impossibile dargli torto. Il Pop punta a stupire sfruttando elementi ed eventi di comune conoscenza, ribaltandoli perché svelino un messaggio che hanno sempre nascosto: non è un’impresa semplice.
Con questo proposito e una propensione per il glamour dei tabloid, comincia la sua carriera David LaChapelle. Artista visionario e mirabolante aveva fatto già parlare molto di sé, quando nel 2006 decide di allontanarsi dalle luci della ribalta perché “aveva detto quello che voleva dire”. Tornato anni dopo con un evidente restyle, con il canto del cigno dell’elemento umano nelle fotografie, ci regala la sua opera magna: “After the Deluge” (Dopo il Diluvio). Dopo di essa, infatti, la carne viene cancellata dalle scene dell’artista.
Questa monumentale serie è il fulcro, sebbene circondata magistralmente da altre opere dell’artista, della mostra dedicata a LaChapelle in corso al Palazzo delle Esposizioni di Roma dallo scorso 30 aprile al 13 settembre 2015. Roma è sempre stata una città d’ispirazione per l’artista, nello specifico egli pone la sua visita alla Cappella Sistina alla base della decisione di inserire figure umane nei suoi lavori; inoltre una semplice occhiata alla collezione sul Diluvio vi troverà, senza difficoltà, una forte connotazione michelangiolesca. Dunque l’opera figlia torna a casa, come è giusto che sia.
Lo scenario apocalittico post-diluvio mostra soggetti in pose plastiche, nudi o seminudi, unici sopravvissuti a quella che sembra essere stata una terribile tempesta. L’acqua ha coperto tutto quello che gli uomini avevano costruito e abbellito negli anni, e l’uomo moderno, così alla moda, appare completamente fuori posto di fronte alla natura che riprende il sopravvento. In bilico tra una pubblicità e un reportage tragico, le foto di LaChapelle sono un monito all’inconsistenza: quasi l’artista volesse mostrarci che, nonostante i tentativi, l’unico traguardo che abbiamo raggiunto contro Madre Natura, è l’ennesima sconfitta, sebbene patinata.
Altrettanto d’impatto è la collezione intitolata “Still Life” (letteralmente “natura morta), nata a seguito di un atto di vandalismo a danno del Museo delle Cere di Dublino: LaChapelle si sentì fortemente impressionato da quelle statue mutilate e sciolte, e le trasformò nel suo nuovo progetto. Nelle foto le statue di cera sembrano effettivamente dei cadaveri, barbaramente trucidati e compromessi: lo spettatore non riesce a vedervi dei soli agglomerati di cera, ed il senso del macabro resta ancorato ad ogni immagine. I volti più famosi del cinema e della politica giacciono distrutti in anonime scatole di cartone, a mostrare che “quanto piace al mondo è breve sogno”.
LaChapelle denuncia, con i suoi colori brillanti ed irreali, i mali della modernità: la fuggevole ed inconsistente vanità nella serie “Earth laughs in Flowers”; il folle e malato progresso verso un irraggiungibile “meglio” in “Land Scapes” e “Gas Stations”; il vile e sporco denaro ridicolmente privo di valore in “Negative Currencies”; l’insensata guerra per il possesso di qualcosa che contribuiamo a distruggere, nei voli pazzi e nei cieli assurdi di “Aristocracy”.
Suggella la sua visione scanzonata dei nuovi valori dell’uomo, con la sua serie più controversa ed ironica: “Jesus in my homeboy”. La figura del Redentore, opportunamente “repop-ata”, si stanzia nel mezzo di ambienti giovanili e comuni: riunioni di ragazzi americani, partite a carte, cucine di appartamento e party, riproponendo scene notissime della Storia Sacra. L’immagine più forte resta di certo quella della Pietà all’inverso, in cui Gesù stringe tra le braccia il corpo senza vita di Micheal Jackson, che ha perso il suo celebre guanto di lustrini.
LaChapelle è un artista coraggioso, irride la morale ed i precetti oltre i quali si dice non sia buona educazione addentrarsi. Sconfigge, ridicolizzandola, la società moderna e ne smaschera le vuote fondamenta. Invita forzatamente l’essere umano a guardarsi allo specchio, a scoprirsi vuoto e a tentare di ricostruirsi. LaChapelle si sente un profeta, ma un po’ spera, in cuor suo, di far la fine di Cassandra; se non altro perché lo troverebbe divertente.
David LaChapelle. Dopo il Diluvio
Palazzo delle Esposizioni, fino al 13 settembre 2015
Orari: 10.00 – 20.00 (domenica, martedì, mercoledì, giovedì);
10.00 – 22. 30 (venerdì e sabato)
www.palazzoesposizioni.it