Immigrazione: tra Triton, quote e l’umanità di chi vive il Mediterraneo
Non si può più considerare l’immigrazione come una condizione emergenziale: è una situazione fisiologica e come tale deve essere affrontata dalle autorità europee prima che da quelle italiane. Il nuovo sistema delle quote, l’ammissione dei limiti dell’operazione Triton e le indiscrezioni riguardo ad un’intervento massiccio contro i trafficanti dimostrano che è in atto un cambiamento di rotta. Se sarà efficace, lo potrà dire solo il tempo
Mare Nostrum è morta, viva Mare Nostrum! Con il consueto tempismo di chi reagisce agli eventi sposando un’ottica emergenziale, il governante europeo ha deciso, lo scorso novembre, di sostituire l’operazione di salvataggio dei migranti Mare Nostrum con l’operazione Triton – Mare Nostrum costava all’Italia 9 milioni di euro al mese e prestava soccorso ai barconi dei migranti fino a 175 miglia dalla costa europea. L’idea era quella di affrontare a livello comunitario il problema del flusso dei migranti via mare; tuttavia qualcosa è andato storto e, a ben vedere, le radici del fallimento di Triton erano presenti sin dall’inizio.
Innanzitutto, quest’ultima si configura come un’operazione finalizzata al pattugliamento delle coste italiane e maltesi: l’obiettivo è il controllo delle frontiere dell’Unione Europea fino a 30 miglia, non il soccorso dei barconi in balìa del mare in acque territoriali libiche dove la maggior parte di essi affondano. In secondo luogo, i fondi stanziati dai 19 Paesi membri partecipanti sono molto inferiori ai 9 milioni messi sul piatto dall’Italia. Con meno di 3 miliardi al mese era difficile immaginare un dispiegamento di forze sufficiente ad affrontare un fenomeno che non si può più definire un’emergenza quanto una conseguenza fisiologica delle crisi che circondano la sponda sud del Mediterraneo.
Le differenze strutturali tra le due operazioni mostrano come non fosse ragionevole aspettarsi un mantenimento degli standard di tutela delle vite dei migranti; tuttavia basta osservare i numeri di questi sette mesi di Triton per capirne l’entità del fallimento. Le vittime nel Mediterraneo nei primi mesi del 2015 sono state 1.750, una cifra trenta volte superiore a quella dello scorso anno.
L’Europa, ora, corre ai ripari sotto le pressioni dell’UNHCR. È toccato alla Commissione UE il compito di promuovere, lo scorso maggio, una nuova agenda europea dell’immigrazione capace di affrontare in maniera più efficace, almeno sulla carta, il problema – sebbene un “ritorno” a Mare Nostrum non sia nei piani.
La principale novità riguardo all’accoglienza e alla gestione del flusso migratorio consiste nell’istituzione di quote che permettano la distribuzione di richiedenti asilo e rifugiati in maniera più equilibrata tra gli stati membri. Nonostante l’opposizione di Gran Bretagna e Ungheria tra tutti, 20mila persone che, si prevede, raggiungeranno l’Europa nei prossimi due anni verranno allocate secondo un criterio più equilibrato e solidale. Uno degli obiettivi è porre fine alla disparità di trattamento che ricevono i migranti nei vari paesi europei. Basti pensare al fatto che la Svezia, nel 2014, ha accolto rifugiati per un totale di 194 volte in più rispetto al Portogallo, mentre la Germania ha accettato 200mila richiedenti asilo a fronte del migliaio della Repubblica Ceca e dei 450 della Croazia.
L’Italia, con le sue 64mila domande accolte, dovrà dimostrarsi all’altezza accogliendo il 9,94% dei nuovi arrivi, per un totale di quasi 2.000 persone. I Paesi che accoglieranno un numero più rilevante di rifugiati saranno la Germania (15,43%) e la Francia (11,87%). Una situazione analoga riguarda il supporto e la garanzia dei diritti spettanti ai migranti già sul territorio europeo e ai quali è stata riconosciuta una qualche forma di protezione internazionale. In questo caso, la quota spettante all’Italia è l’11,84%, terzo paese dopo, anche in questo caso, Germania e Francia.
Il piano UE, che dovrà essere approvato dal Consiglio Europeo a fine mese, prevede anche azioni contro i trafficanti. Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’UE per la politica estera, è intervenuta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite presentando una risoluzione facente capo al capitolo VII della Carta ONU (denominato “Azioni da intraprendere rispetto a minacce alla pace, violazioni della pace e aggressioni”) per autorizzare anche l’uso della forza, in riferimento alla situazione creatasi attorno ai confini libici. Si vorrebbero consentire tre tipi di operazioni militari: nelle acque internazionali, nelle acque territoriali di Tripoli, e nei porti, con la possibilità quindi di scendere a terra, se fosse necessario per rendere inutilizzabili i barconi. Secondo quanto rivelato dal sito Wikileaks, il piano prevede una vera e propria operazione militare (anche di terra) e non una semplice azione di polizia per salvare i migranti. Un’operazione piuttosto ampia e che ha già raccolto critiche, soprattutto dalle ONG che temono che il prezzo di vite umane che verrebbe pagato sarebbe ancora una volta troppo alto.
Nel frattempo qualcosa si muove in mare. Non solo le iniziative di alcuni privati che soccorrono i migranti con le proprie imbarcazioni, ma proprio in questi giorni le navi della marina italiana, britannica, tedesca e irlandese hanno salvato più di 4.000 vite. Si è trattato di un’azione spontanea realizzata da chi ha visto morire troppe persone per continuare a starsene nelle 30 miglia prestabilite. Perché l’hanno fatto? La ragione è semplice, umana direi: non si lascia morire in mare nessuno. Soprattutto se si hanno di fronte delle persone che stanno scappando da situazioni ostili che siano esse le guerre o le terribili conseguenze del cambiamento climatico – è sempre bene ricordarlo. Si tratta di persone che hanno diritti, esattamente come noi, e se la classe politica e l’Europa continuano a procedere a rilento, la mobilitazione della società civile non può che essere un segnale positivo. Un benvenuto pacifico a chi si imbarca con nient’altro che la speranza di raggiungere l’Europa.