Privacy e social network, Facebook nel mirino dell’Europa
Il social network più famoso del mondo, Facebook, non rispetta le norme sulla privacy e il Belgio lo trascina in tribunale. E anche altri Paesi europei si guarda con criticità la questione della riservatezza
Per contare quante volte abbiamo pronunciato questa domanda servirebbe, forse, troppo tempo.
Ma, se per noi, comuni mortali, è l’intercalare di una società che fa della vita connessa l’orologio della quotidianità, per qualcuno che vive ai piani più alti del social blu è un interrogativo tranquillamente bypassabile.
Disinteresse? No, anzi. Proprio il contrario.
Pare, infatti, almeno stando a quanto narrato nella vicenda belga di questi giorni, che lo scrigno di Mark Zuckerberg sia pieno di dati di ignari marinai del web, utenti che – e qui arriva la nota dolente -, dell’iscrizione al tanto chiacchierato Facebook non ne hanno mai voluto sapere.
Qualche giorno fa circolava infatti la notizia che in Belgio la Commissione per la protezione della vita privata si è rivolta ad un giudice, accusando il social di tracciare le attività anche dei non iscritti, violando, in questo modo la legge nazionale; l’aggiramento delle norme in materia di privacy sarebbe avvenuto tramite un’icona che conosciamo molto bene: il social plug-in.
Stiamo parlando, in concreto del pulsantino presente nella stragrande maggior parte di siti o pagine web, indice (ma, forse, sarebbe più opportuno dire pollice) di gradimento di quanto abbiamo appena visto o letto. Insomma, un nome, social plug-in, che non spaventa, anzi, quasi ci piace (tanto per rimanere in tema), se non fosse che, danni ne ha fatti.
Nonostante la Commissione per la protezione della vita privata abbia precedentemente preferito il dialogo pacifico con l’azienda, adesso cambia strategia.
L’accusa mossa, come detto, è quella di violazione della privacy a seguito di uno studio condotto dall’Università di Bruxelles e di Leuven, che evidenzia procedure e, sopratutto, finalità poco chiare nell’attività di tracciamento, di profilazione dell’utente, sia esso iscritto o meno al social network.
Il caso arriva in un momento in cui molti Paesi guardano con prudenza alla riservatezza nel mondo delle condivisioni. Per quanto riguarda l’Italia, poi, si inserisce in un periodo buio per Zuckerberg e soci, data la pronuncia dell Corte di Cassazione che equipara i social-insulti al reato di diffamazione a mezzo stampa.
Ecco allora che, a prescindere dall’inopportunità, dalla lesività del comportamento dell’azienda, che comunque rimane, rispolveriamo le reazioni filo-catastrofistiche, e tutti ci lanciamo nella ricerca del perfetto eremo digitale.
Probabilmente, potremmo ancora usare le parole di D.H. Lawrence, scritte nel 1928, “la nostra é un’epoca essenzialmente tragica,perciò ci rifiutiamo di viverla tragicamente“, ma è pur sempre la nostra epoca, tanto per essere sentimentali.
Insomma, il problema, di fatto, non é esserci o non esserci (su Facebook), come direbbe un Amleto 2.0. La questione è avere quel giusto livello di contezza di cosa voler, e poter, condividere.
Miei cari, questa è la Rete.