L’enciclica di Papa Francesco non parla di “ambiente”
“Laudato sì” parla della “cura della casa comune”, ma la tematica ambientalista è solo la più superficiale (e la meno rivoluzionaria) tra quelle affrontate da Bergoglio nella sua enciclica
L’enciclica di Papa Francesco non è un appello ecologico, come il riferimento al Cantico di Frate sole presente già nel titolo potrebbe far pensare. Bergoglio si rivolge ai “potenti” del pianeta (ma non esclusivamente a loro), a quelli che tengono le redini di un sistema “impazzito”. E avverte: così com’è, il “mondo” non può andare avanti.
Sostituire i combustibili fossili con fonti di energia rinnovabile è un passo verso la soluzione dei nostri problemi, ma non basta. Non si può crescere all’infinito, non tutti gli abitanti del pianeta possono diventare “ricchi” ma si può, si deve, è necessario vivere tutti “meglio”. Sul settimanale l’Espresso, l’economista Jeremy Rifkin ha sottolineato come non vi sia nulla di “regressivo”, nel messaggio del Pontefice. Anzi: Francesco si è preso la responsabilità di dire quello che in troppi ancora non vogliono accettare.
Il “turbo-capitalismo” non funziona: in venti-trenta anni di dominio assoluto sulla “vita”, ha già espresso tutte le sue contraddizioni portando sull’orlo del baratro la “società” nel suo insieme – aumentando il “divario” tra gli uomini, mettendo a repentaglio la stessa “esistenza” delle specie viventi, distruggendo la loro “casa comune”. Bisogna fermarsi, riorganizzare, condividere, pensando al “futuro”, a chi viene “dopo”.
Apprezzabile, nell’enciclica di Bergoglio, è lo sforzo di capire quali siano le reali “cause” del degrado ambientale; d’altronde gli “effetti” di quest’ultimo sono sotto gli occhi di tutti – ma proprio di tutti.
Perfino Ettore Gotti Tedeschi, ex presidente dello Ior e attualmente a capo del Banco de Santander in Italia, in un’analisi personale dell’enciclica pubblicata su Il Foglio ha evidenziato che “il degrado ambientale è conseguenza del degrado etico dell’uomo”, al quale “è sfuggito di mano il senso della vita e delle azioni”, per cui gli interessa “solo la soddisfazione materiale”, insomma, “un uomo dal comportamento irresponsabile”.
Dobbiamo affrontare e risolvere la “crisi ecologica” andando a fondo, fino a scoprire la sua vera “origine”, la vera “causa”: la “massimizzazione del profitto”. Molti milioni di uomini sacrificati perché “pochi” possano godere di benessere e stabilità; risollevare le sorti dell’ambiente si può, ma solo risolvendo una crisi che è innanzitutto “umana”.
Resistere allo sfruttamento e all’oppressione per sovvertire il paradigma “tecnocratico” che governa politica ed economia: difficilmente, e Bergoglio stesso ricorda i tentativi falliti su questa via, si può auspicare un cambiamento di rotta autonomo da parte delle autorità politiche e finanziarie.
Bisogna “cambiare dal basso” nel segno di “buone pratiche”, di nuovi stili di vita, perché solo in questo modo “tutti gli uomini che abitano questo pianeta” potranno salvarsi; dare vita a una radicalmente nuova modalità di sviluppo e di progresso: “non basta conciliare in una via di mezzo la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro”.
“Ben vengano questi moniti da chi, più di ogni altro, è in grado di farsi ascoltare. Ma si attivino contestualmente anche tutte le contromisure necessarie ad evitare che, concluso il monito, si consideri risolto il problema” – ricorda a ragione sul suo blog il bioeconomista Andrea Strozzi.
D’altra parte, dal punto di vista di molti attivisti e studiosi, con questa enciclica Francesco non ha fatto altro che “scoprire l’acqua calda”. Se passasse alle “vie di fatto”, se desse l’esempio, in quel caso Bergoglio diventerebbe davvero un “rivoluzionario”. Proprio come colui che rappresenta.