Immigrati, emergenza all’italiana

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L’Italia non riesce a mettere in piedi un sistema di accoglienza efficiente. Ancora una volta consegniamo al mondo l’immagine di un Paese disorganizzato. Eppure abbiamo delle giustificazioni: le assurde regole europee che vanno cambiate

di Marco Assab

immigratiIl lettore avrà già compreso la voluta provocazione insita nel titolo di questo articolo. Parliamoci chiaro: non intendiamo dire che la situazione alla quale sta facendo fronte l’Italia, quasi esclusivamente con le proprie forze, non abbia caratteri di eccezionalità per dinamiche e proporzioni mai viste prima nel Mediterraneo. Vogliamo però sottolineare come, accanto alle legittime rimostranze italiane sull’immobilismo dell’Europa e dei partner che la compongono, sia necessario fare autocritica. Affronteremo il tema da ambedue le prospettive, bastone e carota, iniziamo col bastone.

Dati alla mano – Polemiche strumentali e demagogie varie non ci interessano. Per un tema così complesso è necessario iniziare a discutere dati alla mano. Ebbene: siamo realmente di fronte ad una spaventosa emergenza che va oltre le potenziali possibilità del nostro Paese? La risposta è no. L’ufficio statistico dell’Unione Europea (Eurostat) segnala che nel 2014 il primo Paese per numero di domande d’asilo è stato la Germania con 202.815 richieste, seguito dalla Svezia con 74,375 domande, poi vengono Italia e Francia rispettivamente con 58,975 e 56,905 richieste. Ora non ci sembra di vedere in Germania o Svezia le stesse scene di isteria collettiva, di immigrati accampati in luoghi di fortuna; così come non ci è parso di sentire da questi Paesi richieste di aiuto disperato per far fronte “all’invasione” . Per farla breve: i tedeschi non frignano, agiscono.

Il nostro “sistema di accoglienza” – Ma ce l’abbiamo un sistema di accoglienza? Un piano che preveda strutture in numero adeguato, un’organizzazione che preveda una ripartizione equa tra le varie regioni, in base ad elementi quali popolazione e ricchezza? No. Viviamo alla giornata, consegnando al mondo il solito autoritratto italiano: disorganizzati e pasticcioni. Pretendiamo che l’Europa condivida il problema con noi mediante una equa ripartizione degli immigrati poi, al nostro interno, abbiamo regioni che accolgono di più e altre di meno le quali, incredibilmente, hanno anche il coraggio di battere i pugni. In un articolo pubblicato recentemente su La Repubblica si evidenzia come la questione dell’accoglienza non debba essere analizzata solo in termini di valori assoluti, ossia quanti migranti accoglie ogni regione e stop, ma il numero degli immigrati deve essere incrociato con dati quali la popolazione e la ricchezza della regione in questione. Si scopre dunque che è il sud a sopportare il peso maggiore dell’emergenza, non il nord e non regioni come Lombardia e Veneto. Zaia e Maroni strillino quanto vogliono, ma i dati sono incontrovertibili.

L’assurdo regolamento di Dublino – Riponiamo adesso il bastone ed usiamo il criterio della carota. Il nostro Paese, seppur con tutte le sue inadempienze, ha delle valide giustificazioni. La maggior parte dei migranti che arrivano in Italia non vogliono rimanervi. L’Italia è solo la prima frontiera utile per entrare in Europa. Sono solo di passaggio e la meta è, prevalentemente, il Nord Europa. Quasi sempre mirano al ricongiungimento familiare. Cosa accade dunque quando entrano in Italia? Stando al regolamento di Dublino, emanato nel 2003 quando il centrodestra era al Governo (ma pensa un po’…), il richiedente asilo deve presentare domanda nel Paese in cui ha fatto ingresso. Lo Stato in questione deve quindi procedere all’identificazione, prendendo anche le impronte digitali del richiedente. Il regolamento non consente all’immigrato di effettuare domanda d’asilo in più di uno Stato. Per farla breve: i migranti che arrivano in Italia devono restare qui. Ecco dunque perché, avendo in animo di lasciare l’Italia per andare altrove, sfuggono all’identificazione e preferiscono accamparsi in luoghi di fortuna piuttosto che andare nelle strutture d’accoglienza, nella speranza poi di oltrepassare le frontiere sfruttando l’assenza di controlli.  E questo è proprio quello che sta accadendo alle stazioni ferroviarie di Roma (Tiburtina) e Milano (Centrale).

Caso Ventimiglia – È facile altresì intuire cosa stia accadendo a Ventimiglia alla frontiera con la Francia: i migranti tentano di passare dall’altra parte, ma i francesi pretendono il rispetto degli accordi di Dublino e ce li rimandano indietro: sono arrivati in Italia ed è l’Italia che deve identificarli e provvedere alle cure del caso. Dal canto suo il nostro Paese, consapevole che questi immigrati non vogliono rimanere qui, non ha nessun interesse ad indentificarli anzi, sembra proprio che la tendenza negli ultimi mesi sia stata quella di chiudere un occhio e di lasciarli transitare.

Il trattato di Schengen e l’accordo di Chambery – Grande confusione si è fatta negli ultimi giorni tirando in ballo gli accordi di Schengen, quelli sulla libera circolazione dei cittadini europei negli stati che aderiscono al trattato. Si badi bene, abbiamo detto “cittadini europei”. Infatti per chi è sprovvisto di passaporto europeo Schengen è come se non esistesse. Basta dare un’occhiata gli accordi bilaterali di Chambery tra Italia e Francia. Essi prevedono la possibilità della Francia di respingere in Italia l’immigrato irregolare, sprovvisto di documenti, previa dimostrazione (basta anche lo scontrino di una consumazione) che la persona sia arrivata dall’Italia. Naturalmente lo stesso sistema è applicabile dall’Italia nei riguardi della Francia.  La verità è che sia la Francia che l’Italia non stanno rispettando le regole. Gli accordi di Schengen vietano controlli sistematici alla frontiera come quelli che la gendarmeria francese sta compiendo a Ventimiglia. D’altro canto è vero anche che l’Italia non sta rispettando gli accordi di Dublino.

In conclusione – Un vero caos. Un guazzabuglio dal quale emerge di tutto: la disorganizzazione italiana (indipendentemente da tutto situazioni come quelle delle stazioni di Roma e Milano sono inammissibili in un Paese che si definisce civile e solidale), la nostra incapacità di farci valere ai tavoli delle trattative chiedendo una revisione di accordi anacronistici e assurdi, le volgari strumentalizzazioni politiche non solo a casa nostra, ma anche in Francia. Hollande usa il pugno duro per non perdere terreno nei confronti del Front National di Marine Le Pen sui temi dell’immigrazione. L’Europa dimostra ancora una volta, esattamente come sul fronte economico, di non esistere quale entità coesa. Se l’Europa fosse davvero un’unione, si adotterebbe il sistema più logico in questo caso: l’immigrato che fa ingresso in Italia non si trova solamente in Italia, bensì in Europa, quindi è libero di richiedere asilo ovunque desideri tra i Paesi membri. All’Italia dunque resterebbe il compito di occuparsi della prima accoglienza. Già, ma ne siamo capaci?

(fonte immagine: http://www.libertaegiustizia.it)

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