Nadia Terranova e la Storia traditrice
Messina, 1977. Una generazione che tenta, fallisce e si rialza. Due ragazzi che si amano, ognuno con la propria solitudine, mentre inciampano ne “Gli anni al contrario” di Nadia Terranova
“Se c’era una cosa che più di ogni altra legava Aurora e Giovanni era la voglia di dimenticare ciascuno il proprio marchio di origine, il proprio cognome“.
Aurora Silini e Giovanni Santatorre sono figli del loro tempo, incastrati perfettamente nella cornice della fine degli anni ’70, in quegli anni di fuoco in cui tutto sarebbe dovuto cambiare, vite comprese. E infatti in un 1977 messinese, tra i libri di filosofia e gli scontri generazionali, le loro vite sono cambiate. Forse troppo in fretta.
Non è semplice domare il tempo che scorre nel primo romanzo di Nadia Terranova, Gli anni al contrario, così come non è stato facile lasciarsi trascinare dai fatti della Storia, che ha inciso profondamente sull’orgoglio di Aurora e di Giovanni, sebbene in modo differente.
È un romanzo collettivo, un romanzo che si apre al ricordo di una generazione e ne abbraccia i facili entusiasmi e le più cupe disperazioni, ma soprattutto gli errori fatali. Eppure, in questo grande caos, tra comunisti, fascisti, Brigate Rosse, anni di fuoco e di guerriglia, le figure di Aurora e Giovanni spiccano nitidamente, sebbene si sentano, loro stessi, puntini sfuocati in una realtà incontrollabile.
L’intimità di questi individui – perché, prima ancora che un romanzo collettivo, è un romanzo dalla forte impronta individualista, in cui due giovani messinesi si mettono a nudo di fronte alla vita ma quasi mai l’uno di fronte all’altra – sgattaiola via dai dogmi che la Storia impone, delineandosi a poco a poco in un quadro dalle tinte ben definite. I due giovani protagonisti sanno perfettamente ciò da cui vorrebbero fuggire, ma non riescono a individuare l’obiettivo finale.
Aurora Silini, figlia del “fascistissimo”, costretta a studiare in un istituto religioso dove il padre l’ha obbligata a diplomarsi, colleziona bellissimi voti, frutto di lunghe ore trascorse nel bagno di casa, tentando di isolarsi dalle grida e dagli schiamazzi di altri cinque figli, tra maschi e femmine. Le porte della vita, a quella secondogenita brava sì, seria pure, ma su cui il padre non avrebbe scommesso due lire, si sono aperte con l’ingresso all’università, dove si è sentita invasa da una nuova libertà, di scelta e di giudizio.
Tutt’altra storia per Giovanni, l’ultimo dei Santatorre, l’unico figlio che non ha scelto di seguire le orme del padre avvocato, il figlio comunista di buona famiglia che si vergognava, in casa sua, di sentir parlare di “quel vecchio comunismo che odorava di sconfitta e fallimento”.
Perché Giovanni era destinato a diventare l’eroe della nuova resistenza, la resistenza del 1977, quella resistenza che la Storia aveva imposto nelle menti di novelli Lenin, che mangiavano pescespada nel servizio di porcellana della mamma.
Il dipinto di un’epoca indimenticabile viene delineato in modo preciso e senza sbavature, così come palpabili sono gli spettri che albergano nei due giovani protagonisti: si incontrano, si frequentano, preparano insieme gli esami, si innamorano. Aurora resta incinta di Mara, si sposano.
Due bambini che stanno per avere una bambina e giocano a fare i rivoluzionari. Gli anni della gioventù li tradiranno, volteranno loro le spalle quando dovranno fare i conti con il passato, che sembra lontano ma non lo è, e con il futuro, che si prospetta molto diverso da come l’avevano immaginato.
Aurora e Giovanni fuggono dalla famiglia, dagli ideali sbagliati, dal peso di un’esistenza che non è la loro: smaniano per strapparsi di dosso i vestiti di un tempo, e poi, alla fine, si trovano ancora lì, punto e a capo, succubi della stessa rabbia e delle stesse incomprensioni che li avevano portati ad allontanarsi dalle loro radici. Perché questa è la storia di due solitudini, che si sono intrecciate solo a metà, che si sono trovate nella speranza di scambiarsi la malinconia, di farne un unico bagaglio da gettare nel mare dell’incertezza e dell’inquietudine.
Ma il mare è sempre lì, accanto a loro. È il mare dello Stretto, un mare così breve, così piccolo, così apparentemente innocuo, semplice da superare, perché oltre la distesa d’acqua s’intravede, chiara e limpida, la terra. Eppure la traversata, a nuoto, è quasi del tutto impossibile.
Metafora struggente di un isolamento involontario, la Sicilia, l’isola più bella e anche quella più ostile, contiene il loro amore così fragile e così dubbioso, ingabbiato nell’ansia di Aurora, nella sua identità traballante e nell’immaturità di Giovanni, nella sua insofferenza ai problemi, che rifugge con l’uso di alcol e droghe.
Giovanni è il simbolo di una generazione che, in quel momento, ha fallito: la sua ingenuità di ventenne si mescola all’entusiasmo che la Storia ha prodotto in quel fine decennio, rendendolo schiavo della necessità di sentirsi parte del mondo, quel mondo che voleva cambiare e che aveva bisogno di lui per essere migliore, quel mondo che avrebbe dovuto reclutarlo, acclamarlo e glorificarlo. E invece l’ha gettato nel dimenticatoio, ignorandone la memoria.
Giovanni professa la libertà di pensiero e di azione, ma è schiavo dell’anticonformismo e dell’idea stessa di libertà.
“I compagni lo guardarono con rispetto e curiosità e lui si sentì forte, protetto da un progetto e da un ruolo“. È un uomo che ha bisogno di un ruolo, ha bisogno del recinto delineato dalla normalità di una vita da padre per poter adempiere, in modo soddisfacente, al compito di essere umano nel mondo.
Le accuse di perbenismo rivolte ad Aurora – un’ombra che attende Giovanni, che cerca di raggiungerlo, di stargli accanto, e che, tuttavia, è la sola colonna che sorregge la loro isola familiare, fatta di una figlia da accudire, di bollette da pagare e di uno stipendio con cui sopravvivere – in realtà sono le uniche certezze di Giovanni.
Lui sa cosa non vorrebbe, ma non cosa vuole, perché, nella realtà dei fatti, ciò che lo rasserena e lo tranquillizza è proprio la rigidità della regola borghese.
Aurora e Giovanni, in questo saliscendi di sentimenti ed emozioni, attendono il momento giusto per ricongiungersi, per abbracciarsi in una stretta liberatoria che non ci sarà mai, neanche nei rari momenti in cui l’Amore sembra vincere su tutto, persino sulla Vita stessa.
È un romanzo sofferto, quello di Nadia Terranova, perché Gli anni al contrario sono gli anni di tutti noi, gli anni di una generazione che ha combattuto, ha fallito, ha perso e si è rialzata con le ossa scricchiolanti. Incerta sui suoi passi, ma ancora viva.
Lo stile poetico, e tuttavia mai stucchevole, agevola una narrazione già fluida, fatta di piccoli gesti e grandi riflessioni, a cui si accompagnano una grande dolcezza e una forte sensibilità.
Gli anni al contrario
Nadia Terranova
Einaudi, 2015
pp. 152
Una risposta
[…] – Gli anni al contrario di Nadia Terranova (Einaudi Stile Libero), http://www.ghigliottina.it/2015/06/22/nadia-terranova-storia-traditrice/ […]