Ungheria: Orbán e il suo muro d’odio
Viktor Orbán sfida l’Europa: dopo i poster xenofobi, in Ungheria una barriera con la Serbia
di Sara Gullace
Un muro anti immigrati. Questa è la soluzione shock che il governo ungherese ha scelto per arginare l’ondata migratoria. Il Primo Ministro, Viktor Orbán, ha chiesto agli Interni di erigere un filo spinato lungo 175 chilometri ed alto 4 metri al confine con la Serbia, terra di transito per il maggior numero di migranti.
Asciutta la motivazione a sostegno: “La migrazione economica è negativa per l’Europa, non è utile, perché significa solo guai e pericolo per i cittadini europei”. Aggiungendo che “Non vogliamo integrare una minoranza con una cultura e un passato diversi dal nostro “.
Rincara la dose Péter Szijjártó, Ministro degli Esteri: “L’immigrazione è uno dei principali problemi dell’Unione. Si sta cercando una soluzione, ma l’Ungheria non può attendere oltre”. Ed agisce, quindi, in modo unilaterale, riservandosi di informare ufficialmente i vicini Serbi in un meeting il prossimo 1° Luglio. “Sorpreso e scioccato” si è dichiarato il Premier serbo, Aleksandar Vucic.
Il governo Orbán, del resto, non è nuovo a slanci xenofobi. Atteggiamento che ha sollevato non poca acredine con l’Unione Europea: in primis sull’opposizione al tasso di distribuzione di immigrati e rifugiati tra stati membri. Peggiorando le cose con due iniziative degne di nota come tappezzare Budapest di poster in lingua ungherese che intimavano gli immigrati di rispettare le leggi locali e di non rubare il lavoro agli ungheresi. O come inviare ai cittadini questionari di gradimento sull’immigrazione in qualità di “consultazione nazionale”. Un formulario in cui si parla di spese sociali, assistenzialismo e terrorismo legati all’immigrazione.
Dopo le iniziative di questi ultimi mesi, Bruxelles ha chiesto alla Commissione Europea un’indagine sullo stato della democrazia in Ungheria. Da parte sua, il governo non ha fatto alcun passo indietro: sostenendo la legittimità dei questionari “Siamo solo curiosi di sapere cosa ne pensano gli ungheresi” ha riassunto il portavoce Kovács, così come la legalità della futura barriera.
Ma di quali numeri di immigrazione stiamo parlando? Sicuramente si tratta di cifre in aumento: nel 2015 l’Ungheria è stata seconda solamente a Germania e Svezia, con l’entrata di 54 mila clandestini. Nel 2014 erano 43 mila mentre nel 2012 solamente 2 mila. I dati dell’Ufficio Immigrazione parlano principalmente di persone provenienti da Kosovo, Afghanistan, Iraq e, ultimamente, dalla Siria.
“La barca è piena“. Con queste parole, rilasciate da un portavoce governativo al quotidiano austriaco Die Presse, il premier ungherese avrebbe motivato la sospensione della Convenzione di Dublino – che regola appunto le domande di asilo nell’Unione Europea e prevede che il richiedente presenti domanda nel primo Paese europeo in cui giunge.
Eppure, la migrazione ungherese sembra essere fortemente transitoria: destinazione finale sono Austria e Germania. Gli immigrati rappresentano il 2% della popolazione e quelli non europei appena lo 0,6%. Statistiche nazionali ufficiali dicono che oltre il 50% dei cittadini non comunitari ha un lavoro, mentre gli ungheresi occupati sono meno della metà della popolazione.
Sul fronte della sicurezza: solo l’1% dei crimini sono commessi da cittadini stranieri, in maggioranza turisti. Del resto, diverse decine di migliaia di ungheresi hanno lasciato il Paese per trasferirsi altrove.
La realtà di questo panorama non sfugge al governo. Per Orbán è un momento di crisi di consenso, il disagio economico degli ungheresi si riversa sulla sua popolarità. Ha scelto di cavalcare l’onda della xenofobia e del capro espiatorio. Sollevando una questione che sa bene provocherà il dissenso del centrosinistra all’opposizione.
La sua è una provocazione strategica: la richiesta di erigere un muro, come le altre iniziative, susciterà lo sdegno degli oppositori ma metterà in luce, comunque, la questione immigrazione – già molto sentita nel continente. E per la quale la sinistra, in passato, non ha saputo dare risposte concrete e prendere decisioni risolutive. La debolezza dell’opposizione potrebbe rappresentare la salvezza del governo in carica.
Provocazione o meno, nel frattempo, Orbán ha già predisposto un presidio di controllo al confine serbo: da Lunedì una decina di pattuglie regolano l’afflusso migratorio.