Afghanistan: la comunità internazionale aiuti chi vuole la pace

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Il deputato afgano Ahmad Behzad lancia un appello ai Paesi  presenti in Afghanistan: “Siate solidali con chi rifiuta la guerra e il fanatismo”. E all’Italia chiede di farsi portavoce per la difesa del popolo hazara, invitando la comunità internazionale a non sottovalutare la minaccia dell’Isis

di Elisa Di Benedetto

Ahmad Behzad, Afghanistan

Ahmad Behzad, deputato e giornalista afghano

Di fronte al deteriorarsi della situazione in Afghanistan, Ahmad Behzad, vice presidente della Commissione legislativa del Parlamento, chiede alla comunità internazionale di non abbandonare il popolo afghano. “L’instabilità e la mancanza di sicurezza si stanno spostando dal sud verso il nord e il centro del Paese, in zone sino ad ora considerate più sicure”, spiega il deputato e giornalista afghano, che nei giorni scorsi ha incontrato il presidente del Comitato per i diritti umani alla Camera, Giuseppe Marazzini.

Oggi, alla minaccia talebana, si aggiunge la presenza dell’Isis, responsabile dei rapimenti che negli ultimi mesi ha colpito in particolare l’etnia hazara”, dice nell’intervista rilasciata a Ghigliottina.it. “Purtroppo, gli aiuti economici internazionali sono stati distribuiti con una politica sbagliata e ingiusta, che spesso ha generato tensioni e insicurezza. Le risorse sono state infatti concentrate nelle zone di conflitto, trascurando le province in cui la gente viveva in pace e armonia. Chi ripudia la guerra si ritrova così senza un km di strade asfaltate.

Quali sono le conseguenze di questa politica?
Anche chi finora ha collaborato con la comunità internazionale sta perdendo fiducia nel governo. Pensiamo alla provincia di Bamyan, la prima tappa per i turisti e giornalisti stranieri: se in questi 14 anni fossero stati fatti degli investimenti, oggi sarebbe autonoma e potrebbe contribuire alla crescita del Paese. Vi è inoltre la sensazione che questa mancanza di attenzione sia legata a ragioni etniche, visto che si tratta di province abitate da hazara, in cui esistono possibilità di crescita e la gente collabora con il governo. Da anni chiediamo strade sicure, per collegare Herat a Kabul. La risposta è che non vi sono soldi, ma assistiamo a un continuo spreco di denaro.

Cosa  può fare la comunità internazionale per combattere Isis? Si parla di contatti tra i talebani e l’Iran per contrastare il Califfato.
Serve un’azione decisa contro il terrorismo in generale. Purtroppo, c’è chi gioca con questa situazione, e chi la sottovaluta, in assenza di una minaccia diretta. Si sta ripetendo quello che è successo dopo la caduta dell’Unione sovietica, quando le potenze occidentali hanno abbandonato l’Afghanistan al proprio destino, finché il terrorismo non ha colpito direttamente gli Stati Uniti. Ma era ormai troppo tardi.
La comunità internazionale dovrà dare la giusta attenzione e sostenere le minoranze religiose ed etniche che sono target dell’Isis, come sta facendo con i kurdi. Parallelamente, servono pressioni sul governo afghano, affinché difenda la sicurezza dei cittadini, senza discriminazioni.
Se l’Afghanistan dovesse diventare una base dell’Isis, sarebbe una minaccia per il mondo intero. Dopo l’Afghanistan, i loro obiettivi saranno la Russia e l’Europa occidentale e pensare che il problema riguardi solo la Russia significherebbe ripetere un errore già fatto.

Per quanto riguarda l’Iran, anche in passato ha avuto contatti con i talebani. Sappiamo che una delegazione talebana si è recata in Iran, anche se il governo iraniano non ha dato conferma ufficiale. Talebani, al Qaeda e Isis sono nomi diversi, ma l’identità è la stessa: terrorismo, fanatismo, fondamentalismo.

Gli hazara sono stati le prime vittime dell’Isis. Quale ruolo possono avere contro il fanatismo?
Il popolo hazara ha dato il contributo maggiore nel processo di democratizzazione. Prima dell’intervento internazionale, avevano una milizia propria e hanno combattuto contro i Talebani. Con l’arrivo della comunità internazionale, di fronte alle promesse di pace e prosperità, hanno consegnato le armi al governo Karzai e hanno preso parte alla vita politica del Paese.

Hanno sempre partecipato alle elezioni e Bamyan, nelle ultime elezioni presidenziali, ha visto la partecipazione femminile più numerosa. Gli hazara hanno dimostrato senso di vicinanza e convivenza con il resto del Paese e, nonostante l’isolamento e i genocidi, negli ultimi anni sono stati protagonisti di una grande crescita, dovuta non al sostegno esterno, ma a loro sforzo. Se sostenuti, possono crescere molto facilmente, anche grazie al rifiuto del fanatismo religioso: sono musulmani, ma il loro Islam non è quello del Mullah Omar; sono sciiti, ma non hanno legami politici con l’Iran. Se minacciati, rapiti e ignorati, potrebbero però ricorrere di nuovo alle armi. Prima di arrivare a questo, bisogna cercare altre soluzioni.

Cosa può fare l’Italia?
L’intervento dell’Italia è stato molto positivo in Afghanistan, in particolare ad Herat, dove aveva una buona presenza militare, ha stabilito buoni rapporti con la popolazione locale e realizzato numerosi progetti. Ha inoltre promesso il finanziamento per la sistemazione di circa 100 km della strada che collega Herat a Kabul.

Spero che l’Italia sia faccia portavoce della situazione degli hazara verso l’Unione europea. Ho condiviso le mie preoccupazioni con il presidente Marazzini e ho chiesto di non ripetere gli errori fatti in passato, di non isolare e ignorare ancora una volta un popolo che oggi chiede di essere ascoltati. In mancanza di aiuti, gli hazara saranno costretti a emigrare in massa.

Mi auguro che le organizzazioni attive nella difesa dei diritti umani aiutino i giovani artisti e attivisti hazara che stanno organizzando festival, spettacoli ed eventi culturali per far sentire la loro voce nel mondo.

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