Le donne saudite voteranno. Ma è una buona notizia?
Il governo di Ryad ha mantenuto la promessa: a dicembre in Arabia Saudita le donne potranno votare ed essere elette. Ma la strada per la parità di genere è ancora molto lunga
A dicembre si terranno le elezioni municipali in Arabia Saudita. Si tratterà di un appuntamento importante non solamente perché sono le sole elezioni ammesse nel Paese, ma anche perché sarà la prima volta in cui le donne saudite potranno votare ed essere elette.
La partecipazione del gentil sesso all’elettorato attivo e passivo è sicuramente una buona notizia per le donne e per gli uomini che hanno dedicato la loro vita all’attivismo e alla ricerca di una qualche forma di eguaglianza in Arabia Saudita, paese dove è applicata la Sharia e dove il potere temporale ha ancora fortissima influenza. Tuttavia potremmo trovarci di fronte ad uno specchietto per le allodole.
In primo luogo, le elezioni municipali non hanno alcun impatto sul governo di Ryad. I consigli, che saranno composti da non più di 30 membri, saranno solo parzialmente eletti: toccherà ancora alla famiglia reale e, formalmente, al Ministero degli Affari rurali e municipali nominare un terzo dei componenti del consiglio.
Per quanto riguarda le funzioni, invece, esse sono ridotte all’osso: dovranno solamente dare applicazione ai programmi del municipio realizzati e approvati dal governo. In secondo luogo, le donne avranno seggi separati e non potranno mostrare il loro volto su manifesti e volantini. Appare evidente che l’influenza degli ultra-tradizionalisti non risulta davvero scalfita e che le possibilità per la trentina di donne che ha deciso di impegnarsi direttamente in queste elezioni sono molto ridotte. Secondo la storia e attivista saudita Hatoon al Fassi si tratta ugualmente di “una vittoria molto importante, frutto di dieci anni di combattimenti”, tuttavia la segregazione di genere di fatto realizzata in Arabia Saudita è ancora una realtà.
Soltanto pochi giorni dopo l’annuncio dell’apertura dei seggi per le donne, il sito di news Emirates 247 ha dichiarato che la compagnia aerea di bandiera, la Saudi Airlines, sta considerando la possibilità di separare i posti per gli uomini da quelli per le donne (a meno che non si tratti di parenti stretti) sui propri velivoli. Una decisione che riflette le lamentele di uomini preoccupati dal fatto che le loro mogli o le loro figlie possano sedersi vicino ad uno sconosciuto.
Di fatto, la segregazione esiste già in molti luoghi pubblici: può infatti capitare di essere arrestati dalla “polizia morale” direttamente controllata dai vertici religiosi per aver frequentato un café tra amici di sessi differenti. E se la prima volta è possibile cavarsela con una dichiarazione in cui sostanzialmente si promette di non farlo mai più, la seconda volta ha conseguenze ben peggiori – come la detenzione.
Così è successo, all’inizio dell’anno, a Loujain al-Hathloul (25 anni) e Maysa al-Amoudi (33 anni), colpevoli di aver guidato un auto e per questo motivo trattenute dalle autorità saudite per alcuni mesi. Si è trattata della più lunga detenzione per violazione del divieto di guida che, precedentemente, era stata punita “solo” con 10 frustate.
La campagna per permettere alle donne di guidare è partita nell’autunno 2013. Gli organizzatori sostengono che in fin dei conti si tratta solo della punta dell’iceberg: si parla della possibilità di guidare per provare a riflettere su come l’intero sistema legislativo della custodia parentale abbia una fortissima influenza nel determinare la vita di bambine, ragazze e mogli. Loujain e Maysa inoltre, secondo alcune fonti a loro vicine, non sono state trattenute tanto e deferite alla Corte criminale specializzata di Ryad soltanto per aver imbracciato il volante, ma anche per alcuni commenti critici apparsi sui loro social network.
Proprio su Facebook, Twitter e Instagram viaggia oggi il dissenso verso il re Salman bin Abdul Azizi al Saud e all’intero vertice dirigente del paese. Un dissenso pacifico, di parole, di coscienza e, forse proprio per questo, ritenuto particolarmente pericoloso. Il governo di Ryad ha infatti preso di mira tutti gli oppositori politici che hanno espresso le loro opinioni online.
Il caso più eclatante è quello di Raif Badawi, blogger molto noto anche in Europa, la cui condanna a 1.000 frustate e 10 anni di carcere è stata recentemente confermata dalla Corte suprema saudita, nonostante le forti pressioni delle organizzazioni internazionali, Amnesty International in testa e del governo svedese. Dopo la decisione di Ryad di annullare un discorso del Ministro degli Esteri Margot Wallström alla Lega Araba, la Svezia ha reagito bloccando così il rinnovo di un accordo di cooperazione e difesa. Ciò che ha sorpreso analisti ed osservatori è che la Svezia sia il primo paese che riconosce pubblicamente le violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita e fa seguire a questa dichiarazione delle azioni concrete che, almeno parzialmente, contrastano con i propri interessi.
La speranza è che altri Paesi seguano l’esempio di Stoccolma e contribuiscano a lanciare un forte messaggio a Ryad: non è possibile violare i diritti dei propri cittadini e continuare a farla franca. Chissà che questa prima apertura nel campo dei diritti politici possa essere un preludio ad una riduzione, nel medio-lungo periodo, dei limiti imposti alle donne saudite. Chissà se alla possibilità di guidare, poi possa seguire la fine del divieto di guida, o di andare in giro da sole, di partecipare alle attività sportive, di prendere un caffè al tavolo che preferiscono o non costrette a scegliere tra “solo donne”, “solo uomini” e “zona famiglie”. Chissà. Sicuramente, la strada è ancora lunga.