Così cantò Ms. Lauryn Hill
Per la rassegna “Luglio suona bene” sul palco dell’Auditorium Parco della Musica di Roma il talento, la voce e il rap senza tempo di Lauryn Hill per un concerto che sa già di evento
Entra sulle note di If I ruled the world, storica collaborazione con il rapper Nas del 1996. Passo sicuro, cappello nero a falda tesa ormai suo marchio di fabbrica in questi ultimi anni ed ecco entrare sul palco della Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma Ms. Lauryn Hill.
Nell’aria si percepisce un’eccitazione impalpabile che ammanta tutta la folla che si è radunata arrivando da buona parte dell’Italia per assistere a un evento più unico che raro. È nota, infatti, l’avversione della cantante per lo showbiz e per anni più volte si è ritirata a vita privata, mettendo in continuo stand-by la possibile uscita di un terzo album.
Ritornata recentemente sulle scene, il tour al quale stiamo assistendo potrebbe quasi essere definito come una sorta di cerchio all’interno del quale Ms. Hill ha inserito questi primi 17 anni di carriera solista. La prima parte del concerto è quasi un set acustico: lei la sua chitarra e l’orchestra. Per ripartire da dove ci aveva lasciato, quasi una sorta di discorso lasciato in sospeso.
I brani prescelti sono tutti presi dal quell’infausto MTV Unplugged No. 2.0 che divise la critica ma non convinse moltissimo i fan accaniti di allora. Eppure non si può non menzionare la struggente versione presentata sul palco di I gotta find peace of mind o la potenza verbale di Mistery of Iniquity (il cui ritornello non a caso sarà usato anni dopo da un giovane ma lungimirante Kanye West).
Menzione speciale per la cover del brano della cantante Sade Love is stronger than pride, offerta in modo sofferto e sentito dalla Hill, che ammalia e incanta tutta la platea.
È chiaro però che siamo solo all’inizio. Se il set acustico serve per sottolineare nuovamente le doti interpretative e di scrittura della cantante americana, la seconda parte ci ricorda perché The Miseducation of Lauryn Hill a distanza di 18 anni dalla sua pubblicazione rimane ancora un album dal suono attuale e innovativo.
E Lauryn Hill non manca di dimostrarcelo sapientemente, attraverso arrangiamenti che stravolgono completamenti brani come Ex-Factor o Lost Ones creando un sound nuovo, diverso e mai scontato. È la sua forza, dimostrare di non essere una mera esecutrice dei suoi successi, rifiutandosi con tenacia di rimanere intrappolata nel 1998, e plasmare la sua musica in continua evoluzione.
Non è solo una questione di arrangiamento. Lauryn Hill sul palco dirige la sua orchestra ed instaura un dialogo silenzioso, ma sicuramente ben evidente dal suo continuo gesticolare, con l’ingegnere del suono al fine di ottenere esattamente quello che desidera. Non si risparmia mai, crea continue jam session con la band, che la segue costantemente in ogni sua richiesta di improvvisazione o di “one more time” ben leggibile sulle sue labbra.
Non poteva mancare il tributo agli anni con i Fugees. Canzoni senza tempo quali Ready or not o Fu-Gee-La sono la più evidente dimostrazione di come Lauryn Hill sia ancora adesso uno dei migliori “Mc” di sempre senza distinzione di sesso. Il suo rap è fluido, pulito, scattante e la folla non può che andare in delirio quando accenna le prime note dell’intramontabile Killing me softly. E sulle note di quel ritornello è possibile ancora sentire la voce promettente di quella ventenne che entrò letteralmente nelle tv e nelle radio di mezzo mondo.
Chiusa in qualche modo la parte relativa alla sua produzione musicale, Ms. Hill ci accompagna verso la fine di questo viaggio fermandosi per ricordare quello che in qualche modo potrebbe essere una sorta di padre spirituale per la sua carriera e le sue influenze musicali (oltre che il nonno dei suoi figli). Lauryn Hill a mio avviso rimane ancora oggi, forse l’unica performer capace di dare il giusto tributo alle canzoni di Bob Marley e anche a Roma non delude. Partendo da Jammin’, passando per Is this love e concludendo con Could you be loved (senza dimenticare il mash-up con Master Blaster di Stevie Wonder) Ms. Hill ci catapulta in Giamaica in pochi minuti, “obbligando” l’intero pubblico a muoversi freneticamente e liberamente in piedi sui propri posti. Avvenimento raro per chi segue i concerti all’Auditorium.
Ultima cover della serata è forse la vera novità del 2015, in termini musicali, di Lauryn Hill. La sua versione di Feeling good, calda e avvolgente, è stata registrata insieme ad altre cinque tracce per l’album di prossima uscita Nina Revisited: a tribute to Nina Simone. I critici non hanno lesinato apprezzamenti e lodi per il lavoro di Lauryn Hill, definendola non a caso la vera erede della grande cantante jazz e soul.
Il viaggio in compagnia di Ms. Hill volge quasi al termine. Non poteva che concludere con le due canzoni forse più importanti per la stessa cantante che segnano in qualche modo la chiusura del cerchio. Con To Zion (scritta per il primo figlio e registrata con l’accompagnamento alle chitarre di Santana) Lauryn Hill sottolinea la scelta fatta in favore della sua famiglia e del desiderio di crescere i propri figli, che vengono tutti citati nel ritornello della stessa, ricordandoci come le cose importanti della vita richiedono attesa e sacrificio. E che quello che conta non può mai avere un prezzo.
In ultimo saluta Roma con quella Doo Wop (that thing) che segna l’inizio della sua carriera da solista, primo singolo del suo album, e la fine di questo viaggio. E in quei sei minuti finali esplode tutta la potenza di un suono inclassificabile se non come “alla Lauryn Hill”, che coniuga hip hop, soul e r’n’b e capace di averla resa, anche se prematuramente, già un artista immortale.