The Babadook, un horror intelligente

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Nelle sale italiane dal 15 luglio The Babadook, primo lungometraggio della regista australiana Jennifer Kent. Un horror particolare, psicologico e delicato, che analizza la maternità da un punto di vista completamente nuovo. I mostri sono dentro di noi, il film ci conduce a conoscerli regalando più di un brivido di inquietante consapevolezza

di Gloria Frezza

fonte immagine: facebook.com

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Baba-dook dook dooooook. Pensandoci bene, esplorando i più reconditi angoli delle nostre paure infantili questo insieme di sillabe sconnesse, dapprima sconosciuto, vi tornerà familiare. Non è forse questo il verso che ha sempre fatto l’Uomo Nero che strisciava nell’armadio, sotto il letto e a volte addirittura sul soffitto?

Che l’Uomo Nero sia l’alpha di tutte le paure è assolutamente indubbio, forse meno pericoloso di diavoli, spiriti maligni e poltergeist, è però molto più subdolo, dacché il suo unico obbiettivo è il profondo terrore dei bambini. Una figura ben affrontata in pochi titoli cinematografici (tra i recenti, si salva solo “Hide and Seek” di John Polson) aveva bisogno di una rispolverata di classe e, finalmente, uno dei titoli più interessanti dello scorso 2014, ha trovato una casa di distribuzione ed è approdato nelle sale italiane in questa torrida estate di un anno dopo.

Il titolo in questione è, appunto, “The Babadook”,  pellicola australiana diretta da Jennifer Kent, che rivisita con successo il concetto di horror, ormai abbondantemente maltrattato da Hollywood. La Kent aveva girato un corto molto interessante nel 2005, intitolato “Monster”, premiato e lodato anche al Festival di Torino: la storia in bianco e nero è la stessa che ritroviamo in The Babadook, colpisce il lavoro e lo studio dei caratteri perseguito dalla regista.

10669083_583097538503634_8191073014244830390_oAmelia è una madre single, suo marito è morto sette anni fa, in un incidente, mentre la portava in ospedale per avere il figlio Samuel. Il bambino, dal canto suo, cresciuto con questa morte sulle spalle, dimostra atteggiamenti strambi e violenti, appiccicoso con la madre, scansa invece gli altri bambini e trascorre il suo tempo a costruire piccole armi con le quali, a suo dire, combatterà il mostro che lo perseguita. Amelia è un’ex scrittrice di favole per bambini, ogni sera legge a suo figlio uno dei suoi libri, durante una di queste il bambino le consegna “Mister Babadook”, un inquietante (seppure splendido) libro pop-up che nasconde una ben chiara minaccia di morte. Il bambino prende molto sul serio il libro e la madre comincia a sviluppare una vera e propria insofferenza verso queste paure; tuttavia, ne viene risucchiata e comincia a vedere anche lei questo mostro, che più viene negato più si rafforza.

Caratteristica sorprendente per un horror, è proprio questa cura maniacale nel definire i personaggi, nel renderli reali, con le loro paure e stranezze. Amelia è molto depressa, suo figlio è strano e lei ha difficoltà a provare per lui quell’amore incondizionato che la legava al marito. Samuel è ossessionato da suo padre e non perde occasione per ribadire alla madre che sa di non essere amato da lei. I due vivono nel mondo, ma totalmente isolati, in trappola nella loro casa di mattoni e dolore nella quale è la stessa Amelia ad imprigionare entrambi. Il Babadook si insinua in questa solitudine e, perversamente, va a sostituire il marito mancante: “gioca” con il bambino e “tiene compagnia” alla madre.

Per tutta la durata del film si resta col dubbio che questo Babadook esista per davvero, o se non sia semplicemente l’effetto che paura e solitudine hanno sulla mente dei due protagonisti. L’Essere infatti, ripete ossessivamente “let me in, let me in” (fammi entrare), come se incarnasse la Pazzia in senso stretto, l’Orrore da loro stessi provocato. Amelia ne viene posseduta, ma se diabolicamente o solo psicologicamente è difficile a dirsi.

fonte immagine: facebook.com

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La Kent cita a più riprese vecchi film, dimostrando una non comune cultura dell’horror, Passion di De Palma e Nosferatu di Murnau tra i più antichi, ma anche Burton negli ambienti gotici e nei disegni del Babadook. L’aggiunta “cartoon”, oltre a intersecare perfettamente infanzia e paura, è la vera bellezza del film, che tocca il terrore in modo delicato, eppure riesce a rendere il film spaventoso perché inquietante, e non crudele.

Un’ultima parola per gli attori Essie Davis (Amelia) e Noah Wiseman (Samuel), magnifici nella realizzazione dei loro personaggi, nel trasformarli in figure reali e spaventose, persino antipatiche nelle loro debolezze. Infine, una lode sentita e commossa al finale, che spiazza totalmente lo spettatore, ma sottolinea l’intelligenza della regia: una chiusura folle, ma freudianamente impeccabile, dai toni noir nonché ironici. Consigliatissimo, anche perché “non ci si libera mai del Babadook”.

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