FMI, i cattivi maestri dell’economia mondiale
Sul tema della disoccupazione il Fondo Monetario Internazionale si lascia andare a previsioni nefaste per l’Italia: 20 anni per tornare ai livelli pre-crisi. Ma cos’è il Fondo Monetario Internazionale? Da chi e come è composto? Possiamo accettare lezioni da questa organizzazione?
di Marco Assab
In una sola parola: irritante. Eppure dobbiamo farci i conti. Il Fondo Monetario Internazionale non manca ancora di bacchettare l’Italia, dall’alto di una cattedra che proprio non merita. Stavolta la sparata è di quelle grosse: secondo gli oracoli dell’economia mondiale ci vorranno 20 anni affinché il nostro tasso di disoccupazione scenda ai livelli pre-crisi. Non si è fatta attendere però la risposta del nostro MEF (adesso vanno di moda le sigle per i ministeri), ossia il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale ha sottolineato che tale analisi del FMI non tiene conto delle riforme strutturali effettuate (Jobs Act in primis) ed in fase di elaborazione.
Come stavamo ai livelli pre-crisi? – In questa tabella presente sul sito dell’Istat si nota come, tra ultimi 10 anni, quello migliore sia stato il 2007, quando l’Italia faceva registrare un tasso di disoccupazione del 6,1%. L’oscillazione registrata fino al 2011 ha poi lasciato il campo ad una impennata (figlia di due genitori: crisi mondiale e austerity) fino all’attuale 12,4% (dato di aprile 2015). Colpa della crisi economica, certamente, ma adesso basta con questa storia. Basta perché la crisi mondiale è alle spalle ed è necessario porre in essere misure di crescita, non di ottuso rigore. Sono quelle misure che andavano perseguite proprio quando la crisi picchiava duro, anziché aggravare ulteriormente la situazione mescolando politiche economiche sparagnine a ricette neoliberiste assai discutibili (tagli selvaggi alla spesa pubblica, privatizzazioni, “maggiore flessibilità”). Eppure, a ben vedere, il FMI non sbaglia a dire che ci vorranno 20 anni per tornare ai livelli pre-crisi, certo, perché abbiamo sconfitto la crisi ma non l’austerity, e forse di anni ce ne vorranno 30 o 40 se si prosegue su questa strada (voluta provocazione).
Ma cos’è il FMI? – Il FMI è un’organizzazione che si compone di ben 188 governi, nata insieme alla Banca Mondiale nel 1944, nell’ambito della conferenza di Bretton Woods. Missione originaria del FMI era quella di regolare i fenomeni di natura monetaria o, in altre parole, salvaguardare la stabilità finanziaria globale. Si intendeva perseguire ciò attraverso vari obiettivi:
- Favorire la cooperazione monetaria internazionale;
- Promuovere il libero scambio;
- Incoraggiare lo sviluppo del commercio internazionale;
- Assistere i Paesi membri in difficoltà nella bilancia dei pagamenti mediante prestiti finanziari.
Nobilissimi intenti, per carità, senonché nel 1971 crollò tutto. Il cosiddetto Gruppo dei Dieci (Usa, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Canada, Paesi Bassi, Giappone, Belgio, Svizzera, Svezia) decise infatti di porre fine agli accordi di Bretton Woods e, da quel momento, il ruolo del FMI venne riconsiderato. Oggi questa organizzazione si occupa di concedere prestiti agli Stati membri che presentano squilibri della bilancia dei pagamenti. Ma non solo, perché è impegnata anche (e adesso viene il bello) nel finanziamento del debito pubblico dei Paesi poveri del Terzo Mondo che ne fanno richiesta… (torneremo tra poco su questo tema).
Come è composto? Chi comanda nel FMI? – Il FMI non è un’organizzazione democratica, e vediamo perché. Vi è un capitale messo a disposizione dai Paesi membri, ma ciascuno concorre in quantità diversa. Per farla breve: chi mette più soldi sul piatto ha un peso maggiore in sede di voto. Infatti il sistema è quello di un voto ponderato in base alla quota di capitale detenuta. Indovinate chi ha la quota di voto più alta? Gli Stati Uniti ovviamente, con il 16,74%, seguono poi Giappone (6,23%), Germania (5,81%), Francia (4,29%), Regno Unito (4,29%), Cina (3,81%) e Italia (3,16%). Non crediamo ci sia altro da aggiungere, il lettore avrà già compreso chi comanda.
FMI e Paesi del Terzo Mondo – Veniamo dunque al punto più spinoso. Il FMI ha attirato su di sé critiche da ogni parte per la sua attività di finanziamento del debito dei Paesi poveri. Perché? Semplicemente per il fatto che i Paesi in via di sviluppo, per accedere a questi prestiti, devono sottostare alle condizioni dettate dal Fondo. Si tratta dei cosiddetti “Piani di aggiustamento strutturale”, ovvero linee di intervento per lo sviluppo economico che, in realtà, sono una imposizione uniforme (cioè a tutti i Paesi senza tener conto delle singole specificità) di ricette neoliberiste, anzi disastri neoliberisti, che comprendono il solito ritornello: riduzione del deficit di bilancio mediante tagli alla spesa pubblica, aumento delle tasse e privatizzazioni selvagge. In più c’è anche, a nostro avviso, la più controversa delle misure: la svalutazione della moneta nazionale. Questo fa si che quei Paesi, ricchi di materie prime, diventino facili terre di conquista dove comprare tutto in saldo. E pensare che uno degli obiettivi originari del FMI era proprio quello di evitare le svalutazioni competitive…
Perché non possiamo accettare lezioni dal FMI – Semplicemente per il fatto che le ricette economiche di questi signori si sono dimostrate ampiamente fallimentari. Nel 2012 il FMI riconobbe che i piani di austerity frenavano la crescita. Poi il vero e proprio dietrofront, per la serie: scusate sull’austerità ci siamo sbagliati. Dunque da una istituzione che non ne ha azzeccata una negli ultimi 30 anni l’Italia (che, per carità, non è esente da colpe) proprio non può accettare lezione alcuna.