I giovani e la recessione: l’Italia vista dall’Unicef
Nel nostro Paese un bambino su tre (2,5 milioni) vive in una condizione di povertà ed è in aumento anche la percentuale di giovani tra 15 e 24 anni che non studiano, non lavorano o non seguono corsi di formazione, i cosiddetti NEET. Ne abbiamo parlato in un’intervista con Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia
In Italia negli ultimi anni la percentuale di ragazzi tra i 15 e i 24 anni che non studia, non lavora e non segue corsi di formazione è in forte aumento. In che modo le Istituzioni del nostro Paese dovrebbero agire per risolvere questo grave problema?
La grande recessione di questi ultimi anni ha fortemente colpito bambini e adolescenti di molti paesi, tra questi anche l’Italia. E questo è un grande problema perché chi risentirà degli effetti a lungo termine di questo crollo del benessere sono proprio loro. Per questo è fondamentale che i governi dei paesi sviluppati si impegnino non solo a proteggere i minori dalla povertà, ma anche a conciliare obblighi etici e interessi nazionali così da mettere definitivamente fine alla povertà infantile. Dico questo perché il confronto delle statistiche internazionali dimostra che questo tipo di povertà è una tendenza che si può invertire, proprio perché legata alle scelte politiche. Se in tempi di benessere e stabilità si investisse sul creare una rete di salvataggio e di protezione nei confronti dei più deboli, durante le crisi non ci sarebbero tutti questi problemi.
Strategia Europea 20/20: secondo lei che percentuale di possibilità c’è di raggiungere l’obiettivo di assicurare migliori condizioni di vita ai più piccoli e alle loro famiglie?
Il progetto Europa 2020 “strategia per una crescita inclusiva” ha un obiettivo ambizioso: quello di assicurare una migliore condizione di vita per almeno 20 milioni di persone a rischio o in situazione di povertà ed emarginazione e di aumentare del 75% l’occupazione tra i 20 e i 64 anni. Però, osservando i dati e il quadro che emerge dal report dell’Unicef, non è detto che questi obiettivi siano così facili da raggiungere. Basti pensare che all’interno dell’Unione Europea i paesi vivono situazioni diverse le une dall’altre e questa disuguaglianza potrebbe far saltare i piani di Europa 20/20. In più i dati sulla povertà minorile e sulla condizione dei giovani in cerca di un lavoro sono allarmanti e i problemi di bambini e famiglie sono così tanti che potrebbero volerci anni prima di ritornare a un livello di benessere pari a quello del periodo pre-crisi.
Le politiche di austerity nei confronti di alcuni Paesi UE, ultimo su tutti la Grecia, che impatto hanno nei confronti delle politiche di inclusione lavorativa a favore dei giovani? È possibile che il Sud dell’Europa debba soffrire così tanto rispetto ad altre Nazioni dove la qualità della vita è migliore e ci sono meno problematiche di questo tipo?
La situazione in Grecia e in Italia è grave così come in Spagna, Croazia e nei tre Stati Baltici. Stando al report dell’Unicef, infatti, il tasso di povertà minorile è aumentato soprattutto in questi paesi. Anche se, in generale, su 41 paesi analizzati (compresi quelli dell’Unione Europa che quelli dell’Ocse) la povertà minorile è un dato in crescita in ben 23 di questi. La Grecia (insieme a Irlanda, Croazia, Lettonia e Islanda) fa inoltre parte di quel gruppo di nazioni in cui dal 2008 la povertà minorile è aumentata di oltre il 50%. Il picco però è stato raggiunto nel 2012, quando lo stato ellenico ha registrato un reddito mediano dei nuclei familiari con bambini pari ai livelli del 1998. Praticamente ha fatto un salto indietro, in termini di progresso e benessere, di ben 14 anni. Anche l’Italia non sta messa bene. Nel nostro Paese un bambino su tre, precisamente 2,5 milioni, vive in una condizione di povertà, oltre 600mila bambini in più rispetto al 2008; e il 16% dei bambini italiani è in condizioni di grave deprivazione materiale. Dal 2008 al 2012 anche il Belpaese ha messo la marcia indietro per quanto riguarda il reddito nei nuclei familiari, con una diminuzione che ha fatto perdere all’Italia 8 anni di potenziali progressi. In tutta l’Unione Europea, comunque, nel 2013, il numero dei NEET è aumentato raggiungendo i 7,5 milioni, quasi l’equivalente della popolazione della Svizzera. Il tasso più alto di NEET in Europa se lo aggiudica però l’Italia, con una percentuale (in crescita di quasi sei punti dal 2008) di 22,2%, cioè oltre un milione di giovani.
Quali sono le prossime azioni che Unicef Italia ha in programma per questa seconda parte del 2015? Secondo lei da qui a 1 anno ci sarà modo di sensibilizzare maggiormente il Governo, ma anche i cittadini stessi, sul fatto che una situazione di questo genere è ormai insostenibile?
L’impegno per migliorare le condizioni di questi bambini dev’essere comune. Bisogna salvare, prevenire nei momenti di stabilità – come spiegavo prima – e dare speranza. Dovranno essere promosse iniziative volte a spezzare questa spirale di vulnerabilità e standard sociali minimi garantiti potrebbero davvero fare la differenza per questi bambini. È assurdo che anche nei Paesi ricchi esistano dei bambini che vivono al di sotto della soglia della povertà, perché in questo caso esiste la possibilità di sviluppare politiche per controbilanciare la regressione e mettere il benessere infantile al primo posto, ma non viene sfruttata. per questo vorrei dare alcuni consigli al nostro Governo: si dovrebbero destinare risorse stabili ed adeguate per le politiche d’intervento a favore dell’infanzia e dell’adolescenza, elaborando azioni programmatiche sia a livello nazionale che locale, che possano avere continuità nel tempo e che producano effetti duraturi (quindi leggi di stabilità che investano sulle politiche per l’infanzia); bisognerebbe inoltre affrontare le diseguaglianze materiali, combinando politiche per il sostegno al reddito delle famiglie con figli (estese anche alle famiglie di origine straniera), promuovendo la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e modalità di lavoro flessibili per entrambi i genitori, ampliando la disponibilità di servizi di qualità per la prima infanzia; sarebbe anche necessario valutare l’impatto e gli effetti che ogni nuova misura politica considerata o introdotta (in particolare in questo momento di crisi economica) avrebbe su bambini, adolescenti e sulle loro famiglie; infine investire nelle generazioni più giovani, perché non riuscire a proteggere i bambini e gli adolescenti oggi, influenzerà le loro condizioni di vita per tutta l’infanzia e recuperare una situazione del genere potrebbe essere davvero difficile una volta diventati più grandi. Questo è quello che noi consigliamo di fare al Governo e su cui concentreremo la nostra azione come Unicef nel 2015.
- Per approfondire l’argomento, è disponibile il Report Card 12 “Figli della recessione” al seguente link.
- Sito Unicef Italia: www.unicef.it