Kobe Bryant e i suoi anni in Italia
Il giornalista Andrea Barocci nel libro “Un italiano di nome Kobe” ci fa scoprire il Kobe Bryant bambino, che cresce in Italia seguendo le orme del padre Joe, mattatore del basket nostrano per 7 anni. Ne abbiamo parlato in un’intervista con la storica firma del Corriere dello Sport
Andrea Barocci, perché un libro sugli anni in Italia di Kobe Bryant?
Il periodo italiano di Kobe Bryant è un “buco nero”. Nessuno aveva mai scavato nella sua infanzia e nella sua adolescenza vissuta nel nostro Paese. In Italia la futura star dei Los Angeles Lakers ha potuto iniziare a dar corpo a quello che era il suo sogno, diventare non solo un giocatore di basket ma una stella NBA. Per lui stare qui da noi è stato fondamentale, da tanti punti di vista: culturale, perché gli ha aperto la mente, gli ha fatto vedere un diverso modo di vivere, e di pensare, e anche per quanto riguarda il basket stesso. Sono stati proprio gli insegnamenti e i fondamentali che ha ricevuto nei suoi 7 anni in Italia che gli hanno permesso di presentarsi a 13 anni negli Stati Uniti con basi e una lettura di gioco che i suoi coetanei non avevano. Nel libro racconto questi 7 anni attraverso le storie che riguardano Kobe e le parole di chi l’ha conosciuto bene: sono venuti fuori episodi particolari e assolutamente inediti.
Com’è nato il Kobe giocatore di basket?
A Kobe era già difficile strappare il pallone anche quando era piccolo. Aveva un’idea tutta sua del basket e molto probabilmente il n° 24 gialloviola è cresciuto seguendo le orme del padre, perché Joe Bryant era uno straordinario showman. Anzi, per chi non lo conoscesse, invito ad andare su YouTube e cercare video delle sue performance: è stato forse uno dei più grandi mai visti in Italia. Chiaramente “palla a me” (per Bryant senior, nda) e difesa “relativa”, ma era comunque divertentissimo. Kobe Bryant è cresciuto con la mania per il basket, aveva un canestro sotto casa a Rieti e c’è un episodio, raccontato dal figlio di Dodo Rusconi (al tempo famosissimo coach), quasi coetaneo di Kobe, che riguarda cosa si sono inventati per continuare a giocare a basket in un parcheggio di Pistoia.
Come è arrivato in Italia Joe Bryant?
La storia di Kobe Bryant va quasi di pari passo con quella del padre Joe, uno dei più grandi talenti cresciuti a Philadelphia ma aveva una concezione tutta sua della pallacanestro. In quel momento nella NBA si cercava più giocatori seri, di squadra e lui era invece uno a cui piaceva divertirsi e divertire magari anche a prescindere dal risultato di una partita. Il fatto che Joe Bryant fosse uno ridanciano aveva fatto in modo che lui venisse etichettato nella NBA come uno “strano”, tant’è che nell’estate del 1984 non avendo trovato offerte venne a Rieti. E venire in Italia fu la sua fortuna, perché ci rimase appunto 7 anni divertendo e soprattutto dando al figlio, Kobe, e alle sue due sorelle maggiori, un’educazione “all’italiana”, facendoli integrare nelle nostre scuole. Per esempio, durante il periodo di Joe Bryant a Reggio Emilia, iscrisse il figlio in una scuola di suore privata perché era un istituto con un certo tipo di insegnamento. Fu anche la stessa scuola che venne frequentata dai figli di Nando Gentile, Alessandro e Stefano, nella stagione in cui l’ex grande playmaker azzurro aveva giocato proprio alla Reggiana.
Com’è stato scoprire gli anni di Kobe Bryant nel nostro Paese e poi scrivere questo libro?
Mi sono divertito molto, perché man mano che intervistavo le persone che lo hanno conosciuto scoprivo sempre cose nuove. Faccio questo mestiere da oltre 30 anni e di Kobe Bryant sapevo abbastanza. Non sapevo molto di come invece è cresciuto lui in Italia. E grazie all’aiuto di tanti personaggi che hanno fatto la storia della pallacanestro italiana, da Dan Gay a Santi Puglisi e Donato Avenia, ho scovato episodi molto curiosi che mi hanno permesso di tracciare il carattere di Kobe in quel periodo, carattere che poi spiega l’evoluzione di Bryant una volta tornato in America. Il Bryant di quegli anni è un bambino e poi un adolescente che non ha ancora l’incredibile etica del lavoro che poi avrà in età adulta sui parquet della NBA, ma già si intuisce il suo carattere, la sua determinazione. E tra i suoi esempi, nel libro si parla della sua grandissima passione per personaggi come Michael Jordan e Michael Jackson, episodi che li riguardano insieme a Kobe Bryant stesso. E Jackson per Kobe è stato importante, perché gli ha fatto comprendere quanto sia importante la determinazione e l’etica nel lavoro per arrivare a raggiungere gli obiettivi prefissati.
Per chiudere, cosa ci dobbiamo (possiamo) aspettare da quella che potrebbe essere davvero l’ultima stagione di Kobe Bryant in NBA?
Lo staff tecnico dei Los Angeles Lakers pare che voglia farlo giocare da ala piccola o addirittura da ala forte, il che sarebbe una follia. Io ritengo che Kobe alla fine continuerà a fare quello che sa fare meglio, chiaramente con un minutaggio minore, ma con la stessa determinazione e la stessa esigenza dal vedere i suoi compagni dare il massimo, come successo in tutti questi anni di NBA.
Un italiano di nome Kobe
Il nostro amico Bryant: la storia mai raccontata
di Andrea Barocci
Absolutely Free Editore
pp. 225