Southpaw e i training day(s) di un uomo
Nelle sale italiane da mercoledì 2 settembre, Southpaw – L’ultima sfida è anche l’ultimo lavoro di Antoine Fuqua. Il direttore del thriller Training Day, e di video musicali per artisti come Coolio e Prince, realizza un progetto personale, una storia di percorsi che si intrecciano tra le corde di un ring
“Non mi piace fare cose poco originali, quindi ho pensato di raccontare la storia di Marshall attraverso il pugilato”, ha affermato Kurt Sutter, che di Southpaw è lo sceneggiatore e il produttore esecutivo. Un principio che in virtù della mia natura non posso che condividere, e che delinea le righe di questo articolo non come un giudizio giornalistico, quanto più come un’analisi allusivamente teorica.
Il Marshall in questione altri non è che Marshall Bruce Mathers III, a.k.a. Eminem, the real Slim Shady. Secondo il progetto originario doveva essere lui il protagonista, in una sorta di sequel di 8 Mile che affrontasse il suo rapporto con la figlia Hailie e la perdita dell’amico Proof, ma il desiderio di dedicarsi al suo nuovo album l’ha spinto ad abbandonarlo. Non totalmente però, considerando “Phenomenal”, prima canzone dell’OST del film distribuito per l’Italia da 01Distribution.
Sia Sutter che il regista Antoine Fuqua sono decisi a non rendere il loro lavoro “il solito film sul pugilato”, così come a non realizzare un remake di un vecchio titolo, come il classico del 1979 “Il Campione”. Creare però parallelismi con la celeberrima serie di Rocky, o capolavori come Toro Scatenato e Million Dollar Baby, o ancora Cinderella Man, The Fighter e Il Grande Match può risultare naturalmente scontato per la presenza di molti elementi familiari.
Stavolta all’ “angolo rosso” c’è Billy “The Great” Hope (interpretato da Jake Gyllenhaal), campione mondiale in carica dei pesi massimi leggeri. Hope è un southpaw, un pugile mancino dalla grande carriera costruita con aggressività e brutalità tra le corde. Insieme ai suoi affetti, la bella e amorevole moglie Maureen (Rachel McAdams) e l’adorabile figlia Leila (Oona Laurence), è calmo e pacifico e conduce uno stile di vita invidiabile. Ma la tragedia irrompe e gli fa toccare il fondo, abbandonato anche dallo storico amico e manager (il rapper Curtis “50 Cent” Jackson).
Sembra quasi che la storia di un pugile sia intrinsecamente una giostra di alti e bassi, “montagne russe di emozioni che viviamo”. Atleti messi a tappeto prima di tutto dalla loro vulnerabilità, sostiene Fuqua, “perché ogni volta lasciano sul ring un pezzo di sé stessi”.
Ne é consapevole anche Gyllenhaal: “Ogni volta che sali su un ring, non puoi essere sicuro che ne uscirai vivo […] entri ed esci sul ring da solo, quindi si tratta di un viaggio esclusivamente personale”.
Una “storia di percorsi” dove “ognuno ha il suo”, come rivelano le parole di Tick Willis, impersonato dal vincitore dell’Academy Award® Forest Whitaker. Sarà questo ex pugile, diventato allenatore dei migliori boxeur dilettanti della città in una palestra locale, a sostenere Hope nella sua redenzione e aiutarlo a riconquistare la fiducia delle persone che ama.
Nonostante i demoni personali nascosti nel suo animo, la sua figura di mentore, di salvatore, di maestro samurai e guru spirituale, aiuta Billy a comprendere l’ “importanza di preoccuparsi prima degli altri e poi di sé stessi”, a prendere consapevolezza dello sforzo da compiere per scendere a patti con la sua rabbia.
Questo non è però l’unico sforzo che viene compiuto in questa produzione.
C’è prima di tutto quello del regista statunitense di conquistare il pubblico, che difficilmente pare appassionarsi al realismo messo in scena da Fuqua. Una fervente passione, la sua, per questo sport, tanto da allenarsi quotidianamente seguendo anche le sessioni a cui si è sottoposto Jake Gyllenhaal per la parte, coinvolgendo l’allenatore e coreografo dei combattimenti Terry Claybon, ex pugile professionista vincitore di tre Golden Glove Championship, fino a fargli incarnare nel film il ruolo di T., assistente di Willis.
Di fronte e dietro la camera, ha scelto di avvalersi dell’arbitro veterano Tony Weeks e, direttamente da HBO Boxing, dei leggendari commentatori Jim Lampley e Roy Jones, Jr., insieme agli storici operatori Todd Palladino e Rick Cypher per girare gli incontri di pugilato. Tutto, dalla posizione “delle ragazze che indicano il numero delle riprese”, a “come un pugile esce fuori dal suo spogliatoio per la sua presentazione”, fino a “dove si siedono i giudici e le guardie addette alla sicurezza e tanti altri particolari”, è stato portato da loro in dote.
Ma c’è soprattutto la fatica provata da Billy “The Great”. Grazie all’analisi “intima” perfino degli incontri di boxe, misuriamo quella fisica in ogni goccia di sudore, segno o livido visibile sul suo corpo grazie ai puntuali close up delle macchine da presa, alla ripresa continua dei round e all’assenza di luci di scena.
Fatica anche la Speranza di Hope di risalire la china, talvolta colpita duramente più dalle parole (di Jackson, di Willis, della piccola Leila) che dai colpi sferrati dal proprio avversario Miguel “Magic” Escobar (impersonato da Miguel Gomez). Prenderne troppi comporta il rischio di soffrire un domani non troppo lontano di dementia pugilistica, ma la difficoltà per il protagonista di comprendere l’amore e il buonsenso delle persone a lui vicine prescinde dall’essere punch drunk. L’analisi del dolore (fisico ed emotivo) e di un rapporto (con una moglie prima e una figlia poi) dai pesi massimi e non equilibrati.
“Train to become a man”: l’essenza del film può essere forse intesa nell’intenzione di Tick Willis nei riguardi di Billy Hope, che emerge così chiara durante un acceso scambio tra i due. Il regista di Training Day rappresenta con questo lavoro un diverso tipo di addestramento, che attraverso quello specifico di un pugile porta un professionista a diventare un uomo.
La discesa è inesorabilmente lenta, contrapposta alla velocità con cui scorrono i turni della ripresa, e il sangue versato dai contendenti alla vittoria. Il percorso intrapreso lo conduce a sconfiggere avversari considerati invulnerabili e tentare di catturare le persone che hanno contribuito a mandare in pezzi la sua vita, dalle stelle alle stalle, allegoricamente rappresentate dalla palestra di Willis, che aiuterà a ripulire.
Come Ercole nelle sue sovrumane imprese, Billy “The Great” Hope sfida la morte negli ultimi dodici round portando a compimento una sorta di cammino spirituale. Partendo dalla prima regola del pugilato, capisce finalmente come proteggersi e difendersi.
Imparando disciplina e controllo. Perché senza, si cade.