L’evoluzione di una donna secondo Carla Magnani
Intenso e appassionante, nato e cresciuto all’ombra del Sessantotto, “Acuto” è il romanzo d’esordio di Carla Magnani. Il libro ci regala un tuffo nel passato più ribelle dell’Italia di fine anni ‘60
“E mentre la storia le stava passando accanto, lei l’osservava con gli occhi di chi vuole caparbiamente restarne fuori”.
La Storia, è vero, può essere traditrice, riesce ad entusiasmare e a demolire quasi nello stesso momento, lei, che è padre e madre di noi figli smarriti, un po’ succubi un po’ ribelli. Ma c’è chi con la storia, col tempo che passa e cambia le cose, con le trasformazioni della società e dell’individuo proprio non vuole avere niente a che fare, perché vorrebbe restare lì, fermo nel recinto di sicurezze che si è ritagliato e in cui si è perfettamente ambientato.
Stiamo parlando di Elisa, la protagonista di Acuto, romanzo d’esordio di Carla Magnani pubblicato da Gilgamesh Edizioni.
È una vita come tante quella di Elisa, senza alti né bassi, senza infamia e senza lode, una vita che lei stessa non ha fatto fatica a cucirsi addosso, perché aveva già tutto lì, pronto davanti ai suoi occhi di bambina, di ragazza e poi di moglie.
“Fino ad allora la sua esistenza si era nutrita di un perfetto immobilismo. E, per Elisa, questo coincideva con la perfezione”.
Elisa è nata e cresciuta in una tipica famiglia benestante italiana degli anni ’60, con una madre casalinga e remissiva, un padre padrone autoritario e severo e una sorella, Ester, che è il suo esatto contrario. Spigliata, ribelle, energica e vivace, dal consumato spirito critico e d’avventura.
Elisa è succube della sua stessa vita, succube, forse, del significato stesso di “esistenza”: non sceglie, non si impone, non riesce e non vuole dare una forma precisa alla sua personalità.
Teme il confronto, soprattutto con se stessa. Tutto sembra appiattirsi sotto le sue mani calde e accoglienti, ogni cosa sbiadisce, corrotta dalla neutralità e dall’indifferenza di Elisa.
Tutto sembra ristagnare in quell’immobilismo che fa di Elisa una persona felice, soddisfatta nei limiti dell’infelicità inconsapevole, fin quando non è la Storia a bussare alla sua porta, a tirare pugni alle finestre della sua villetta immersa nel silenzio. Il 1968 è arrivato e con lui tutta l’onda di rivoluzioni, ribellioni e cambiamenti che hanno contraddistinto quell’anno da tutti quelli a seguire.
La Storia faticava a star dietro a se stessa, figuriamoci se Elisa avrebbe avuto la voglia e la forza di provare a raggiungerla.
Mentre Ester si tuffa a capofitto nell’entusiasmo tipicamente sessantottino, vedendolo come un ponte, un collegamento tra lei, il mondo e il suo spirito ribelle, un’occasione per calarsi nella realtà vera, quella che soffre, che combatte e che vive, Elisa vorrebbe solo continuare in pace i suoi studi, finire in tempo l’università e dedicarsi alla sua futura vita di pace e tranquillità.
Eppure qualcosa non va secondo i piani, l’imprevisto è dietro l’angolo, che aspetta il passo falso di Elisa per farle lo sgambetto: l’imprevisto ha un nome e un volto, si chiama Marco, e sarà per tutta la vita l’unico grande e mai confessato amore di Elisa.
Sono passati molti anni da quel lontano Sessantotto ormai, ed Elisa ha seguito il suo destino di moglie e madre, cercando di relegare il pensiero di Marco nel cassetto più alto dell’armadio più alto della casa dei ricordi.
Eppure il passato torna a chiedere il conto e lo fa con la complicità di Ester: una telefonata da oltreoceano, la richiesta di un uomo in fin di vita. Marco esprime il suo ultimo desiderio: rivedere Elisa prima di morire.
Se Ester è la donna forte del romanzo, la donna coraggiosa e volitiva, progressista e pure a suo modo fragile, di una fragilità sommessa, che si nasconde dietro il paravento del lavoro e del successo, dell’indipendenza, Elisa è sì, la ragazza che resta ingabbiata dentro se stessa, in bilico sul confine del terrore, ma è anche la ragazza che diventerà Donna quando l’Amore le suggerirà di chiudere la porta in faccia alla paura.
L’incontro con Marco è doloroso per Elisa: da un lato si vede costretta ad un confronto con un passato che la addolcisce ma che le genera ansia; dall’altro la sofferenza per un presente troppo difficile da accettare la annichilisce, la annienta e la rigenera contemporaneamente.
Marco, allora come oggi, è il suo tramite con la Vita: la scuote dal torpore dell’abitudine, accarezza e fa vibrare la sua anima abbandonata, solletica la sua intelligenza e colora le sue emozioni.
Le dona, ancora una volta, il brivido di un acuto, le fa toccare quella nota più alta che Elisa non aveva mai suonato, nonostante la grande passione per il pianoforte, unico elemento significativo all’interno della vita della donna, che con la musica unisce arte vera e armonia dell’essenza.
La forza e l’originalità di questo libro risiedono nella capacità di vedere – in modo netto e quanto mai realista – i fermenti di quegli anni così ingarbugliati, con gli occhi di chi voleva restarne fuori. Operazione inusuale e tuttavia vincente, perché la Magnani riesce non solo a dare un nuovo punto di vista, ma lascia che sia il lettore ad immedesimarsi in Elisa, e che proprio con Elisa cresca, soffra e alla fine si trasformi, chiuda il cerchio dell’evoluzione.
“La gabbia dorata che l’aveva rinchiusa così a lungo si era spalancata lasciandola libera e consapevole di volare ovunque, anche dentro se stessa”.
Con la morte di Marco si procede non solo al commiato dal singolo, ma al commiato dalla vita. Si arriva così al cambiamento, che per Elisa avviene in modo silenzioso ma definitivo: rimpianti, troppi, sbagli, troppi, ricordi e rinnovate speranze.
Morire è anche un po’ vivere, perché proprio la morte ci regala la possibilità di guardare indietro e di assaporare la vita trascorsa, per poi impedire di voltarci nuovamente e sperare solo ed esclusivamente nel futuro.
Un inno alla vita contenuto nell’addio alla stessa.
Un romanzo in cui i sentimenti si amalgamano, si combinano in forme molteplici e donano al lettore un mosaico di umanità di rara bellezza: Carla Magnani con Acuto ha saputo incrociare quel sano individualismo psicologico e affettivo con i fatti della Storia. Senza mai essere retorica né accademica, l’autrice ha saputo rievocare l’atmosfera sessantottina con maestria e delicatezza, proprio come delicato è lo stile stesso del romanzo.
La crescita interiore e sofferta della protagonista viene sviscerata con grande sincerità e con grande coraggio: si avverte, per tutto il tempo di lettura, una sorta di quiete incandescente, una quiete apparente che, sotto la cenere, nasconde un substrato di ardori e passioni, ben gestite, ben indirizzate e tuttavia mai sopite.
A tratti ricorda le immagini più belle di “Scene da un matrimonio” o di “Sinfonia d’autunno” di Ingmar Bergman, pellicole in cui lo struggimento è tangibile eppure silenzioso, cariche come sono di quella tensione emotiva che sfocia nel mare dell’inquietudine individuale.
Un romanzo da leggere, un’autrice da scoprire.
Acuto
Carla Magnani
Gilgamesh edizioni, 2015
pp. 149