L’emigrazione risolverà la “questione meridionale”
Secondo quanto emerso dal Rapporto Svimez, sembrerebbe non esserci alcuna soluzione per un Meridione che continua ad arretrare. O forse sì
Secondo quanto emerso dall’ultimo rapporto dell’Associazione per lo sviluppo dell’Industria del Mezzogiorno (SVIMEZ), analizzando il quadro economico-sociale del Sud Italia sembrerebbe che questo sia appena uscito da una “guerra”. Da 7 anni il Pil del Meridione presenta un saldo negativo (quest’anno -1,3%, l’anno scorso -2,7%), dal 2007 il “prodotto” dell’area si è ridotto del -13% – cioè il doppio rispetto alle regioni del Centro-Nord (-7,4%). In pratica, la distanza tra il Sud e il resto dell’Italia – scrivono gli autori del rapporto – “è tornata ai livelli di inizio secolo”, mentre il divario del Pil pro capite è tornato quello di 15 anni fa.
Tra il 2008 e il 2014, i consumi delle famiglie meridionali sono scesi del 13%, una flessione che misura più del “doppio” di quella riscontrata nel resto del paese (-5,5%). D’altra parte, se al Centro-Nord l’acquisto di “beni “durevoli” e alimentari, seppur lentamente, sembra ripartire, al Sud, dove tale spesa non si riduce, rimane “stagnante”.
Gli investimenti nell’industria sono crollati, addirittura, del 59,3% (“solo” del 17,1% al Centro-Nord). Una situazione per cui risulta difficile “valutare se l’industria rimasta sia in condizioni di ricollegarsi alla ripresa nazionale e internazionale”. Il rischio è che “il depauperamento di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire al Mezzogiorno di agganciare la possibile nuova crescita e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente”.
In generale, la “crisi” – confermando una “debolezza” emersa anche nel periodo precedente ad essa – ha colpito tutti i settori dell’economia meridionale, costruttivo e agricolo compresi; tanto che, nel 2014, più del 62% degli abitanti del Sud aveva un reddito inferiore ai 12mila euro annui (il 28% nel resto del paese). Al Sud una persona su 3 è a rischio povertà, al Centro-Nord una su 10.
Sempre tra il 2008 ed il 2014, nell’intera “macroregione” si registra una caduta dell’occupazione del 9%, cioè, di oltre 6 volte superiore a quella del Centro-Nord (-1,4%). Delle circa 811mila “unità lavorative” perse in Italia, nel periodo preso in considerazione, ben 576 mila sono nel Mezzogiorno. La flessione occupazionale riguarda maggiormente i “giovani (soprattutto di sesso femminile) italiani” (15-34 anni), mentre aumenta l’occupazione degli over 50 e degli stranieri.
“I dati Svimez? Sempre la solita storia, nulla di nuovo sotto il sole” ha scritto il giornalista Claudio Velardi. Eppure, qualcosa di “nuovo” in un certo senso si evince dai dati dello SVIMEZ. Il “masterplan” per il Sud annunciato dal governo, in realtà, è già partito ed il “perno” del piano è già pienamente in funzione. Sarà l’emigrazione a risolvere l’annosa “questione meridionale”. Infatti, è proprio la “dinamicità” di questo fattore a mitigare le differenze con le altre parti d’Italia, si può leggere tra le righe del rapporto dello SVIMEZ.
Un segnale su tutti permette di riflettere sull’indirizzo delle politiche elaborate per il Sud: l’abbandono delle città. Palermo è quella che più verrà colpita dalla migrazione dei suoi cittadini: da qui al 2050, perderà oltre 152mila persone. Il dato diventa ancora più inquietante se si considera che nelle regioni meridionali il numero delle morti ormai sopravanza quello dei nati vivi. Hanno “svuotato” un paese e l’hanno chiamato Italia.