Giornalisti, ma chi ve lo fa fare?
Minacce, intimidazioni, avvertimenti da potenti e criminali: in determinati contesti il mestiere dei giornalisti può diventare davvero rischioso
Career Cast, nota agenzia per il lavoro statunitense, ha recentemente stilato una classifica dei peggiori mestieri del 2015: al primo posto, peraltro precisando come sia destinato a “scomparire” nel giro di un decennio, gli esperti hanno collocato proprio il mestiere del “giornalista”. Eppure, si direbbe che di giornalisti non ne manchino in giro per il mondo: negli Usa ce n’è 1 ogni 5.300 cittadini, in Francia 1 ogni 1.800, in Gran Bretagna 1 ogni 1.600.
E in Italia? Nel nostro Paese gli iscritti all’Albo (che nel Regno Unito non esiste, ad esempio) sono oltre 100mila, 1 giornalista ogni 500 abitanti. In realtà, coloro che hanno una posizione presso l’INPGI (l’Istituto di Previdenza dei Giornalisti) – gli effettivi lavoranti – sono meno della metà degli iscritti all’Ordine (circa 30mila i “professionisti”, quelli che “campano” facendo solo questo mestiere, e 75mila i “pubblicisti”).
Non saranno 100mila ma sono comunque tanti, i giornalisti italiani. Questo lascia chiaramente intendere che la “professione” non solo non è destinata a scomparire ma gode anche di buona salute, no? E invece no: i giornalisti assunti, divisi in “articolo 1” (sottoposti al contratto nazionale di lavoro giornalistico) e “articolo 2” (collaboratori fissi), nel 2009 erano 18mila, nel 2014 sono diventati 15mila.
Un taglio del 15% che lascia intravedere un trend sempre più difficile da invertire, mentre i “precari” (meno di 10mila euro lordi all’anno ma con lo stesso carico di lavoro dei “contrattualizzati”) hanno ormai superato abbondantemente quota 30mila.
Una categoria che assomiglia più a un esercito di “morti di fame” che al “quarto potere”; e poi tutti a riempirsi la bocca con la mancanza di “libera” informazione? Tuttavia, ci sono dei “professionisti” che fanno comunque “bene”, molto bene, il loro mestiere, anche se il loro è – per eccellenza, certo, ma di questi tempi ancor di più – un lavoro “ingrato”. Qualche volta anche “pericoloso”, e sì, anche in Italia, anche oggi.
Secondo una relazione approvata pochi mesi fa dalla Commissione parlamentare antimafia, dal 2006 al 31 ottobre 2014 c’è stato un preoccupante aumento del numero dei giornalisti minacciati che “ha registrato il suo picco nei primi dieci mesi dell’anno scorso, 421 atti di violenza o di intimidazione, quasi tre ogni due giorni”.
Il vicepresidente della Commissione Claudio Fava, figlio del giornalista Pippo Fava ucciso dalla mafia nel 1984, presentando la relazione ha precisato come sia tangibile “un ricorso sempre più frequente a un uso spregiudicato di alcuni strumenti del diritto per intimidire, mettere in riga, dare una calmata a chi non è abbastanza ‘rispettoso’ “.
Stando all’Index on censorship’s mapping media freedom, che monitora e classifica gli attacchi all’informazione registrati in Europa, tra l’1 maggio e il 30 settembre 2015 in Italia si sono verificati 38 casi documentati di “violazione” dei media – solo in Turchia ce ne sono stati di più (40).
Guardando, invece, ai dati di Ossigeno, osservatorio per la libera informazione (qui un nostro articolo sull’associazione), nei primi 279 giorni del 2015 sono stati 211 i giornalisti minacciati e, inoltre, sono emersi 96 casi accaduti in anni precedenti a quello in corso. In totale, dal 2006 a oggi, sono stati quasi 2500 i casi di intimidazione, anche se “dietro ogni intimidazione documentata dall’Osservatorio almeno altre dieci restano ignote perché le vittime non hanno la forza di renderle pubbliche”.