Indice Globale della Fame 2015
Nel suo decimo anno l’Indice Globale della Fame, promosso dal network europeo Alliance 2015 (di cui fa parte anche Cesvi) e dalla Commissione Europea, si focalizza sui conflitti armati, causa principale della fame acuta e persistente e della fuga delle popolazioni dai propri Paesi
(a cura della redazione)
Decimo appuntamento della nostra rubrica in collaborazione con Cesvi Onlus. Questa settimana ci occupiamo dell’Indice Globale della Fame.
Giunto al suo decimo anno, in questa edizione il rapporto 2015 si focalizza sui conflitti armati e la sfida della fame: la guerra è infatti la causa principale della fame acuta e persistente e i Paesi con i più bassi livelli di sicurezza alimentare sono spesso coinvolti in conflitti armati o ne sono recentemente usciti, e rappresenta una delle principali cause che spingono le popolazioni alla fuga.
I livelli di fame in 52 dei 117 Paesi analizzati rimangono ‘’gravi’’ (44 Paesi) o “allarmanti” (8 Paesi). La Repubblica Centrafricana e il Ciad, Paesi che negli ultimi anni hanno attraversato un conflitto e vissuto una forte instabilità politica, riportano il ‘livello di fame’ più alto. Al contrario, in Angola, Etiopia e Ruanda, la situazione della fame è migliorata dopo la fine delle guerre civili degli scorsi decenni.
L’Indice Globale della Fame 2015 mette in evidenza anche i cambiamenti positivi: il punteggio GHI 2015 – che riunisce in un unico indice numerico quattro indicatori su una scala di 100 punti, dove 0 rappresenta il valore migliore – per il mondo in via di sviluppo è calato del 27% rispetto al GHI 2000. Dal 2000 al 2015, 17 Paesi hanno compiuto notevoli progressi, riducendo il proprio punteggio di GHI del 50% (Azerbaijan, Brasile, Croazia, Mongolia, Perù e Venezuela).
Tuttavia, la sfida alla fame nel mondo è una lotta continua. Nonostante i progressi, il numero di persone che soffrono la fame nel mondo resta inaccettabilmente alto: circa 795 milioni sono i denutriti cronici (1 persona su 9 al mondo), più di un bambino su quattro è affetto da ritardo della crescita e la malnutrizione è la causa principale delle morti infantili.
Il rapporto di quest’anno mette in luce anche un risultato importante raggiunto negli ultimi 50 anni: le catastrofi alimentari – che causano più di un milione di morti – non esistono più. “La fame non è un esito inevitabile dei conflitti”, spiega Alex de Waal, autore del capitolo 3 de “I Conflitti armati e la sfida alla fame: siamo vicini ad una fine?”, Direttore esecutivo della World Peace Foundation e ricercatore dell’Università di Tufts. “L’era delle catastrofi alimentari che hanno decimato intere popolazioni e contro le quali c’è stato ben poco da fare è finita. La situazione della fame nel mondo è il risultato delle decisioni che prendiamo. Il crollo dei regimi comunisti, l’adozione di norme internazionali sui diritti umani e la globalizzazione sono tra i fattori chiave che potrebbero aiutarci a eliminare le carestie per sempre”.
“Mai come oggi siamo fiduciosi di poter sconfiggere la fame, dobbiamo continuare a perseguire gli obiettivi” spiega Shenggen Fan, Direttore generale IFPRI. “Dobbiamo insistere, associarci, continuare ad innovare affinché il cibo nutriente diventi accessibile, sostenibile ed utilizzato da tutti, perché ognuno raggiunga il suo pieno potenziale”.
“Più dell’80% delle persone vittime di conflitti armati rimangono nei loro Paesi e sono quelle che soffrono maggiormente una grave insicurezza alimentare” dichiara Barbel Dieckmann, Presidente di Welthungerhilfe. “Dobbiamo fare di più per fornire supporto a queste persone. Se non affrontiamo il problema all’origine, nelle cause che generano i conflitti, i progressi fatti per ridurre la fame non dureranno”.
“Il conflitto è il contrario dello sviluppo. Senza pace, mettere fine alla povertà e alla fame entro il 2030 non sarà possibile. È arrivato il momento per la comunità internazionale di dare priorità alla prevenzione e alla risoluzione dei conflitti.”dichiara Dominic MacSorley, CEO di Concern. “La diplomazia e la volontà politica sono necessarie, in eguale misura, per prevenire gli spaventosi livelli di povertà, sofferenza e brutalità che sembrano all’ordine del giorno nei conflitti di oggi”.
Le esperienze concrete di due Paesi, Mali e Sud Sudan, aiuteranno a comprendere cosa rappresenti questa sfida e quali soluzioni vengano proposte.
A questi, Cesvi affianca la sua esperienza in Somalia, dove opera con un progetto integrato di nutrizione, salute-materno infantile e sensibilizzazione, e in Libia, dove fornisce protezione ai settori più vulnerabili della popolazione, vittime del conflitto che affligge il Paese. Da 30 anni, infatti, Cesvi sceglie di essere al fianco delle popolazioni in fuga da guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani ed economie distrutte stabilendo un’unica priorità: il rispetto del principio umanitario.
“Il conflitto continuo e la mancanza di uno stato di diritto hanno esposto la popolazione libica a continue violazioni dei diritti umani, sfruttamento e abusi. Il sistema sanitario, già debole, è ormai vicino al collasso. Beni e servizi di base sono limitati, compresa l’elettricità. L’accesso alle documentazioni legali diventa sempre più difficile e le istituzioni pubbliche lottano per rimanere funzionanti. L’accesso al cibo è un problema per oltre 1.2 milioni di persone”, dichiara Daniela Bernacchi, Direttrice Generale Cesvi.