CIE, in Spagna esistono migranti di prima e di seconda classe
In Spagna viene offerto un tetto ai rifugiati siriani, mentre continuano a esistere prigioni per migranti senza documenti, i CIE
C’è differenza tra morire di fame e morire in guerra? Bisogna distinguere tra rifugiati e immigrati per ragioni esclusivamente economiche? In questo momento storico la Spagna si trova al centro di tale dibattito. In piena crisi economica, nel bel mezzo del più massiccio esodo dopo la Seconda Guerra Mondiale, si direbbe che nel Paese iberico esistano migranti di prima e di seconda classe – dove gli ultimi finiscono in carcere per aver commesso un unico reato che, tuttavia, sarebbe più opportuno definire come mera carenza amministrativa: non possedere documenti.
La prospettiva è cambiata radicalmente in seguito alla pubblicazione della fotografia di Aylan, il bambino di 3 anni trovato morto su una spiaggia turca. L’immagine ha girato il mondo e ha scosso le coscienze di cittadini di diversi Paesi, come del resto anche in Spagna – la cui popolazione si è mobilitata offrendo il proprio alloggio: nel paese iberico vengono organizzate carovane con destinazione le frontiere dei paesi attraverso i quali arrivano rifugiati siriani allo scopo di offrirvi assistenza. A questi ci riferivamo, definendoli migranti di “prima classe” – fortunatamente giunti sani e salvi in Europa, al margine di una guerra che dura ormai più di 4 anni.
E poi ci sono migranti che contano meno. Si tratta di quelli che finisco nei Centri di Internamento di Stranieri (CIE), migranti di “seconda classe” perché non hanno un documento e non hanno avuto la ‘fortuna’ di sfuggire al conflitto siriano. Prevalentemente, questi arrivano dall’Africa – ma anche da altri Paesi non comunitari. Persone che vengono letteralmente imprigionate in queste strutture che nulla hanno da invidiare alle carceri più tradizionali. Normalmente questi sono tutti quegli individui che vengono afferrati in strada attraverso retate “aleatorie” e che vengono condannati per non possedere un documento che attesti la residenza in un paese comunitario. Insomma: un reato amministrativo che dovrebbe comportare al massimo una denuncia. Eppure vengono trattati da criminali, reclusi in edifici decadenti, privati della libertà di circolazione per 90 giorni – prima di essere rispediti al proprio paese, eventualmente.
In Spagna ci sono 8 CIE, ma un po’ in tutta Europa è piena di questi centri di “accoglienza” (o detenzione?). La questione di tanto in tanto occupa le prime pagine dei quotidiani iberici – per i maltrattamenti da parte dei poliziotti, piuttosto che per i disperati tentativi di fuga. La questione, in alcuni casi giunge nelle aule di un tribunale. Ma l’esito è sempre lo stesso: il prigioniero non riacquista la propria identità, se non attraverso un volo di sola andata verso il proprio paese. La responsabilità delle forze dell’ordine per via dei maltrattamenti, invece, non viene mai penalizzata.