Dal tramonto all’alba: il caso Marino
Candidato sindaco di Roma in una sola notte, dimissionario in una mattinata: la triste parabola di Ignazio Marino
Arrivarono in una notte: 5.600 firme che consentirono a Ignazio Marino di presentare, nell’ultimo giorno utile, la propria candidatura alle primarie del 7 aprile del Partito Democratico per le elezioni comunali di Roma del maggio 2013. “Io c’ho messo due mesi… ci devono essere dei segreti…” ironizzava David Sassoli mentre depositava le sue firme. “Ah non lo so, io ho iniziato a raccogliere firme dal 7 novembre“, rispondeva Umberto Marroni: entrambi erano concorrenti alle stesse primarie che vedevano proprio Sassoli favorito. E invece, il colpo gobbo di Goffredo Bettini e della sua corrente portò Marino non solo a vincere le primarie ma anche a diventare il nuovo sindaco di Roma, battendo con il 64% dei voti favorevoli un Gianni Alemanno ormai messo alla porta con il 36% di preferenze.
Il sindaco in bicicletta, della trasparenza e dell’integrità. Con queste caratteristiche Ignazio Marino aveva deciso di presentarsi ai romani ma fu chiaro fin da subito che non sarebbe stato facile per il neoeletto guadagnarsi un pezzo di cuore dei suoi cittadini. Già la decisione di pedonalizzare progressivamente l’area intorno ai Fori imperiali e al Colosseo, giunta a pochi giorni dalla sua elezione, provocò reazioni contrastanti fra i romani e nell’opposizione capitolina: il tutto, veicolato da un mondo mediatico che nei due anni di governo Marino non ha perso occasione per amplificare e mostrare il lato debole e poco carismatico di una figura politica poco comunicativa.
Poi venne la volta delle multe non pagate legate alla sua Panda rossa; di Mafia Capitale e dei suoi “Non ne sapevo nulla”; dunque gli stipendi decurtati ai dipendenti comunali e il “Concorsone” momentaneamente bloccato per poca trasparenza con migliaia di partecipanti lasciati in attesa. Tor Sapienza e la rivolta degli abitanti fomentata da chi, guarda caso, gestiva in maniera illecita i fondi delle cooperative legate all’accoglienza dei migranti; il funerale faraonico quanto indegno dei Casamonica mentre Marino era negli Stati Uniti e infine la storia degli scontrini. Pubblicate online le sue richieste di rimborso spese, quella che era stata presentata come una mossa di trasparenza fatta per mettere a tacere quanti criticavano i suoi frequenti viaggi all’estero, si è in realtà rivelata un boomerang: Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle hanno infatti presentato un esposto alla Procura per far analizzare gli scontrini, imputando al Sindaco di aver giustificato come “spese di rappresentanza” cene e pranzi privati.
È stata questa la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo di malcontento e critiche, da parte dei romani, sì ,che ogni giorno affrontano le sfide di vivere in una metropoli come Roma, ma soprattutto da parte del suo stesso partito. Già nei mesi precedenti, con il commissariamento del PD romano, a giugno dopo la seconda ondata di arresti di “Mafia Capitale” e il vaglio del Ministero dell’interno sull’opportunità o meno di sciogliere il Comune per infiltrazioni mafiose, il Primo Ministro Matteo Renzi aveva tuonato: “Chi è in grado di governare governi, se non è in grado vada a casa”.
Eppure, il Sindaco e la sua squadra in questi anni di amministrazione della città hanno provato a cambiare le cose, partendo in primis da un risanamento del bilancio comunale portato allo stremo dalle precedenti gestioni. Marino ha messo a disposizione del Procuratore Pignatone tutta la documentazione in possesso dell’Amministrazione comunale per sostenere le indagini legate a Mafia Capitale. È stata chiusa la discarica di Malagrotta, evitando così nuove sanzioni europee; ha investito sulla raccolta differenziata dei rifiuti, portandola al 43% a fine 2014; ha nominato un Assessore alla legalità; ha fatto sparire i camion bar dal centro storico e relativa organizzazione illegale che stava dietro a questo tipo di business; ha introdotto l’illuminazione stradale al LED; ha liberato gli accessi al mare ad Ostia.
Rassegnando le sue dimissioni lo scorso 8 ottobre, Ignazio Marino ha dichiarato: “Mi importa che i cittadini, tutti, chi mi ha votato come chi no, perché il sindaco è eletto da una parte ma è il sindaco di tutti, comprendano e capiscano che, al di là della mia figura, è dal lavoro che ho impostato che passa il futuro della città. Spero e prego che questo lavoro, in un modo o nell’altro, venga portato avanti, perché non nascondo di nutrire un serio timore che immediatamente tornino a governare le logiche del passato, quelle della speculazione, degli illeciti interessi privati, del consociativismo e del meccanismo corruttivo-mafioso che purtroppo ha toccato anche parti del Pd e che senza di me avrebbe travolto non solo l’intero Partito democratico ma tutto il Campidoglio“.
Parole importanti, che alla vigilia del Giubileo e dell’avvio del processo agli imputati di “Mafia Capitale” il prossimo 5 novembre, assumono un peso rilevante, un monito da tenere a mente.
Governare Roma non è cosa semplice. Sembra quasi ci sia una perversa volontà politica di farla rimanere immutata, in un’eterna bellezza in contrasto con il degrado e una qualità della vita decisamente poco all’altezza delle altre capitali europee. Spesso, azioni positive ed efficaci intraprese dall’ultima Amministrazione comunale sono state travisate e nascoste dietro a gaffe e gesti poco politicamente scaltri di un sindaco, messo lì in una notte ed eliminato dai suoi stessi compagni in una tipica mattinata di un’ottobrata romana.