Rifugiati in Slovenia: nuovo paese, problemi di sempre
Dopo la chiusura dei confini ungheresi, la Slovenia è oggi il principale paese di accesso all’area Schengen per migliaia di richiedenti asilo ogni giorno. Lubiana, però, sembra colta di sorpresa e, ancora una volta, ha reagito alla crisi come se fosse un problema di sicurezza
Un fiume di persone. Teste, piedi, braccia. Una scia di valige, borse, pochi affetti personali portati alla bell’e meglio. Un’unica linea umana che trancia la campagna, guidata da un gruppo di uomini a cavallo. La piccola Slovenia è diventata, nelle ultime settimane, il principale luogo d’accesso alla zona Schengen per le migliaia di migranti, richiedenti asilo e rifugiati che vogliono raggiungere l’Europa.
La situazione era nota da tempo: era infatti più che prevedibile che dopo la chiusura dei confini da parte dell’Ungheria di Orbàn, la rotta umana dei Balcani si sarebbe spostata in Croazia, prima, e in Slovenia, poi, fermo restando l’obiettivo comune delle migliaia di persone in transito. Nonostante i problemi determinati dalla quantità di richiedenti asilo approdati nelle proprie stazioni, Austria e Germania confermano la loro apertura verso chi ha bisogno. E non si tratta soltanto di una forma di accoglienza istituzionale: nei punti di accoglienza austriaci e tedeschi sono molti i movimenti civili di solidarietà che donano coperte, cibo, giocattoli alle migliaia di persone in fuga da guerre, conflitti e da un viaggio ogni giorno più rischioso.
Sembrava tutto sotto controllo. Il premier sloveno Miro Cerar aveva stabilito insieme al suo corrispettivo di Zagabria che sarebbero entrati nel paese fino a 2.500 rifugiati al giorno, accolti in alcuni punti predefiniti e, dopo essere stati identificati, avrebbero potuto proseguire verso l’Austria, sfiorando solamente l’Italia. Qualcosa è, però, andato storto: dal 16 ottobre, giorno in cui l’Ungheria ha chiuso la sua frontiera con la Croazia, Lubiana ha registrato oltre 25.000 arrivi, ovvero circa 5.000 arrivi al giorno, il doppio rispetto a quanto ritenuto “gestibile”. Secondo l’esecutivo di Lubiana, la colpa è da attribuire alla Croazia, colpevole di non rispettare gli accordi presi. Cerar afferma di essere in costante contatto con il primo ministro croato, Zoran Milanovic, sottolineando però che a livello operativo non c’è comunicazione e cooperazione. “Da un Paese dell’UE mi sarei aspettato un comportamento diverso“, commenta laconico. Da Zagabria minimizzano, puntando il dito contro la lentezza burocratica slovena che rallenta il viaggio dei migranti e invitandoli a seguire il loro esempio ovvero prendere i richiedenti asilo e spostarli fino al confine successivo.
In questo tira e molla politico restano, ancora una volta, a margine le persone. L’inverno è ormai alle porte e in molte cittadine slovene la temperatura di notte sfiora lo zero. Non sempre c’è abbastanza cibo o coperte per tutti, per non parlare delle strutture ancora assenti. Rigonce, Šentilj, Brežice sono i luoghi di una nuova tappa di un esodo che pare senza fine. Come osserva Stefano Lusa su Osservatorio Balcani Caucaso, colpisce come la Slovenia abbia scelto di affrontare la situazione come un problema di ordine pubblico e non come un’emergenza umanitaria.
Grazie ad un provvedimento governativo, in questi giorni l’esercito, con i suoi mezzi, le sue armi e i giubbotti antiproiettile, è comparso al confine per collaborare con la polizia nella gestione e smistamento gli arrivi. Nel piccolo paese alpino sembra prevalere la paura e la sorpresa per una situazione del tutto prevedibile. Viene da chiedersi cosa sia stato raccontato fuori dall’Italia di queste migliaia di persone che in Siria, in Iraq, in Afghanistan non ci possono più restare. La paura è naturale conseguenza della disinformazione, soprattutto in questo caso, di fronte a persone, semplici persone, delle cui difficoltà l’Europa è sempre più responsabile.
Il presidente della Commissione UE, Juncker, corre ai ripari convocando una riunione dei leader dei Balcani e dei principali governi europei. L’obiettivo vorrebbe essere la produzione di un piano di azione comune operativo in tempi rapidi. In pratica è stato deciso di potenziare il controllo delle frontiere, coordinato da Frontex, nei paesi balcanici. Nel frattempo sulla Slovenia si addensano le nubi, calano le temperature e migliaia di persone arrancano nell’assenza di un qualsiasi sostegno istituzionale, supportati solo dall’umanità di chi incontrano sulla strada.