La lotta al terrorismo tra sciacallaggio politico e mediatico
Dopo i gravi attentati di venerdì scorso a Parigi, che hanno causato la morte di 129 persone e oltre 350 feriti, abbiamo assistito a provocazioni gratuite, sciacallaggio politico, basse strumentalizzazioni, morbosità giornalistica, spettacolarizzazione, drammatizzazione, stupide mode da social network. Ma è così che si combatte il terrorismo?
di Marco Assab
Il lettore vorrà perdonarmi se per una volta (l’unica) decido di trasgredire ad una regola fondante della buona scrittura: farò ricorso all’uso della prima persona.
Fatti senza precedenti – Che io ricordi non si è mai verificato, in Occidente, un attacco terroristico condotto con simili modalità. La gravità di quanto accaduto a Parigi la sera di venerdì 13 novembre sta, oltre che nell’elevato numero delle vittime, nel modo in cui i terroristi hanno scelto di colpire. Tra le 21.15 e le 21.55 diversi gruppi, armi in pugno, colpiscono ovunque, apparentemente senza logica: esplosioni allo Stade de France, spari contro un ristorante italiano, un ristorante cambogiano e un altro locale notturno. Poi l’irruzione al teatro Bataclan, dove è in corso un concerto che si trasforma in un massacro. Ecco questo terrorismo ancor più spudorato, illogico ed imprevedibile, dovrebbe spingere molti a rifuggire da analisi superficiali, da soluzioni politiche miracolose.
Il silenzio, il rispetto – Ho guardato questo video relativo ai fatti del Bataclan, pubblicato dal giornale francese Le Monde, in assoluto silenzio. Ho provato sgomento, paura. Paura vera. Quante volte sono andato in teatro, al cinema o in un locale pubblico la sera… Nessuna logica potrebbe portarti a pensare che qualcuno possa mai prenderti a fucilate, senza alcun motivo, mentre sei a teatro, con i tuoi amici, la tua fidanzata o moglie, i tuoi figli, gli affetti più cari… Qualcuno mi ha fatto osservare “ma non si vede niente”; è vero, la morte qui non si vede ma si sente. I colpi sono probabilmente quelli di un fucile a pompa, ad ogni colpo io posso immaginare che qualcuno stia morendo, non lo vedo, ma so che in quell’istante una, due, tre persone sono morte. Silenzio dunque. Non è finzione, è una realtà che impone silenzio, riflessione, rispetto per le famiglie delle vittime, moderazione nei commenti a caldo e soprattutto la necessità di una corretta informazione.
E invece… – E invece, come volevasi dimostrare, la grande macchina mediatica si mette subito in moto non per informare, ma per strumentalizzare, drammatizzare, spettacolarizzare e fare audience sui cadaveri. Poco dopo la fine della partita Belgio-Italia, facendo zapping in tv, mi accorgo che quasi tutte le reti stanno trasmettendo un’edizione straordinaria del loro tg. Ma per dire cosa? Per informare su ciò che ancora non si conosce? Non è per niente chiaro quello che è accaduto anzi, ciò che sta accadendo, che è in corso di svolgimento, e già si costruiscono cifre, si tirano le somme, si identificano dei colpevoli, vengono trasmesse in maniera morbosa e ripetitiva le immagini degli spettatori spaventati allo Stade de France che invadono il campo da gioco, si crea panico, sì, lo ripeto: si crea e si diffonde ulteriore panico nelle case dei cittadini, si fa il gioco dei terroristi, si diffonde il terrore.
Immediato poi il ricorso “all’esperto” di turno. Serve la chiacchiera, servono le balle per far durare lo spettacolo. Vengono quindi raggiunti per telefono (o fatti venire in fretta e furia in studio) strateghi, politologi, islamisti, opinionisti, stregoni e sciamani, e ognuno dice la sua, ricostruisce i fatti in modo grossolano, perché i fatti sono ancora in corso ed è impossibile fornire un quadro chiaro della situazione. Lo show prosegue martellante, le vittime sono 18, no 28, no 47, no 67, no 71, con l’avvertimento “il numero dei morti è destinato a salire”, per la serie: non andare via lo spettacolo continua. Il teatrino dell’orrore sforna cifre ad cazzum e tiene incollate davanti alla scatola magica milioni di persone. Ma insomma tacete per una volta! Stucchevoli chiacchieroni, giornalai (non giornalisti) travestiti da pescivendoli urlanti, drammaturghi e attori mancati. Tra le tante persone sintonizzate ci sono anche parenti e amici di chi si trova lì, col cuore in gola perché non capiscono cosa stia accadendo, verso di loro questo giornalismo non mostra alcun rispetto. Queste persone vorrebbero notizie, ma se notizie certe non ne hai taci.
Megafoni del terrore – Questo giornalismo non si rende conto di prestarsi (inconsapevolmente o meno) al gioco dei terroristi. Terrorismo significa “terrore”. Obiettivo del terrorista è diffondere paura, insicurezza, odio, sollevare lo scontro tra etnie, razze e religioni, attraverso azioni simboliche. Queste azioni vengono amplificate a dismisura dai media, i quali si prestano nel ruolo di megafoni che diffondono il panico, ingigantendo la portata del crimine commesso da 5-6 farabutti, dando l’impressione che siano ovunque, che possano arrivare ovunque. Ecco che l’obiettivo del terrorista è raggiunto. Abbiamo tutti paura, non ci sentiamo sicuri da nessuna parte.
Pericolose derive – “Bastardi islamici” è il titolo che campeggia sulla prima pagina di Libero il giorno dopo gli attentati. Non avrei mai potuto immaginare che il giornalismo italiano potesse spingersi a tal punto. Un’affermazione del genere equivale a dire “Siciliani bastardi” se la mafia compie un attentato. Ma la mafia non è “i siciliani” e “Isis” non è “gli islamici”. Oltretutto tra le vittime dello Stato Islamico ci sono anche gli stessi musulmani! Si scriva piuttosto “Estremisti bastardi” oppure “Fanatici bastardi” oppure “Esaltati bastardi” oppure “Terroristi bastardi”. Non ci si rende conto che così facendo si cade proprio nella trappola del terrorismo. Una simile affermazione rappresenta un assist d’oro a questi delinquenti: “visto come ti considera l’occidentale?” sussurra malizioso il terrorista all’islamico moderato, “dunque quello che facciamo è giusto, anzi unisciti a noi!” Un titolo del genere non ha assolutamente nulla di informativo, ma è l’emblema della più totale disinformazione, getta benzina sul fuoco, alimenta odio.
Strumentalizzazioni politiche – Marine le Pen, leader del Front National (estrema destra francese), a poche ore dagli attentati pubblica un post su Facebook dove annuncia la sospensione della campagna elettorale. Una vera e propria lezione di stile. In Italia invece non funziona così. Matteo Salvini non ce la fa proprio a tacere quando i morti sono ancora caldi, a terra, e scrive su Facebook: “Una preghiera per i morti innocenti di Parigi, e poi chiusura delle frontiere, controllo a tappeto di tutte le realtà islamiche presenti in Italia, bloccare partenze e sbarchi, attaccare in Siria e in Libia…” etc. etc. La solita tiritera, il solito ritornello, che se risulta già fastidioso in un momento di normalità, figuriamoci quando il sangue sta ancora scorrendo.
Gli attentatori non sono arrivati sui barconi. Quelli di Charlie Hebdo, ad esempio, erano tutti francesi… Attaccare in Siria e Libia significherebbe scoperchiare il vaso di Pandora. Abbiamo visto con l’Afghanistan e l’Iraq quali risultati generano le bombe, a quali conseguenze porta una guerra mal ponderata. Ma di queste cose abbiamo ampiamente discusso sulle nostre pagine, per cui risulta perfino noioso ritornare su tali argomentazioni.
Non possiamo rinunciare alle nostre conquiste – La risposta migliore che si possa dare al terrorismo è non avere paura, continuare a vivere da uomini liberi, senza timore. Non possiamo rinunciare a nessuna delle nostre libertà, delle nostre conquiste. La chiusura delle frontiere significherebbe una sconfitta per l’Europa, un umiliante passo indietro, un ritorno agli stati nazionali chiusi in se stessi. Il terrorismo è un nemico che per sua stessa natura non può essere combattuto solo con le bombe in una determinato luogo, perché non puoi affrontare a viso aperto chi non combatte in questo modo! Un intervento militare in Siria, Libia o Iraq risulterebbe assolutamente improduttivo, anzi, peggiorerebbe la situazione. La tentazione a reagire “di pancia”, come si suol dire, in questi casi è fortissima, ma una guerra simile non si può vincere così.
Abbiamo di fronte un nemico transnazionale, sfuggente, che va stanato a colpi di intelligence in cooperazione con gli altri stati, battendo a tappeto la rete, perché è lì che lo Stato Islamico recluta e ingrossa le sue file. In questa lotta, militare e culturale al tempo stesso, dobbiamo coinvolgere quella maggioranza di musulmani che vivono onestamente nei nostri Paesi, i quali prendono le distanze dagli estremisti e quindi non devono essere inclusi per nessun motivo nel calderone ignorante dell’odio. Se è vero che siamo in guerra, il giornalismo sappia che quando si è in guerra non si fa la propaganda del nemico… non si trasmettono ossessivamente i messaggi di quattro dementi incappucciati facendo credere (come vogliono loro) che siano dei semidei invincibili, non si amplifica l’orrore del nemico, non si trasmettono i suoi ridicoli messaggi di minaccia. Ed in ultimo: non si generalizza, non si trascinano nel conflitto persone incolpevoli, non si semina odio gratuito.
Salvini propone le crociate, ma questa è una guerra 2.0.