Salvini e la piazza che spiazza
Dopo mesi passati all’attacco, Matteo Salvini sembra aver ceduto alle avances dell’ex Cavaliere. Una scelta coraggiosa, dietro la quale si nascondono molte insidie, a partire dalla manifestazione dell’8 novembre a Bologna
di Mattia Bagnato
Domenica 8 novembre, in una Bologna blindata manco fosse la green zone di Baghdad, è ripartita la rincorsa a Matteo Renzi. Al grido di “Chi non salta comunista è” migliaia di leghisti, ma non solo, hanno gremito piazza Maggiore. La manifestazione, organizzata dalla Lega Nord, dovrebbe ricompattare un centro-destra assestatosi in un ordine sparso che preoccupa e non poco. Un grido di “liberazione” rivolto al nemico di sempre. Ciò che è emerso oltre a “nuove” discutibili alleanze, sono una serie di possibili scenari futuri e altrettante inevitabili riflessioni.
A.A.A. secessione cercasi – La prima non poteva che essere rivolta al caro vecchio slogan padano, tanto amato dai leghisti della prima ora: che fine hanno fatto i proclami d’indipendenza? Come cantava Fabrizio De Andrè, infatti, la secessione sembra si sia persa e non sappia tornare. Smarrita, con tutta probabilità, tra i meandri dei palazzi del potere. Soffocata dalla necessità di governare, forse. Resta il fatto che quelle parole, pronunciate dal palco di Bologna, sono sembrate una minaccia ancor prima che un programma elettorale. “Da Nord a Sud”, ha tuono il leader del carroccio.
Il mio miglior nemico – La seconda riflessione, invece, sembra avere le sembianze dell’opportunismo politico. La scelta forzata da mandar giù come una medicina amara. Matteo il Padano, come fu per Renzi all’epoca, sembra rassegnato all’idea di non poter far a meno di Silvio Berlusconi. Ancora troppo grande il suo peso politico per decidere di metterlo in soffitta. Così, con un colpo di spugna le critiche, che per mesi erano state rivolte al Presidente-segretario, sembrano sparite. Cancellate da un’alleanza che solo il tempo dirà a chi sarà realmente utile.
La pecorella smarrita – Dulcis in fundo, la terza ed ultima riflessione. Quella destinata a mettere in discussione la credibilità politica del leader leghista. Non è passato troppo tempo, infatti, da quando a Via Bellerio si faceva a gara per smentire un ritorno di fiamma con il redivivo ex Cavaliere. Così, viene da chiedersi dove sia finita la fermezza con cui si escludeva il rientro nell’ovile di Arcore. Un’eventualità che riporta alla mente la nota parabola, appunto. Un paragone inevitabile, considerando lo smarrimento con cui Salvini sta portando avanti la sua “guerre de libération”.
The special guest – L’invitato speciale doveva essere proprio lui, Berlusconi. Salvini, tuttavia, l’ha ignorato come un ospite indesiderato imbucatosi all’insaputa di tutti. Non uno sguardo, un cenno d’intesa. Niente. Fatto salvo che per quella foto di gruppo malinconicamente amarcord. Una replica sbiadita e financo sfocata della più nota scattata a Vasto. All’epoca il centro-destra si candidava a guidare il Paese. Da allora molte cose sono cambiate, prima tra tutte i protagonisti, Bossi “si è fatto da parte” e Casini è stato sostituito dalla Meloni. Soprattutto, però, l’assente è il progetto politico.
Dai nemici mi guardi Dio che dagli amici ci penso io – Questa Lega Nord, infatti, al netto dei “Noi con Salvini” e delle roboanti esternazioni, a sud del Rubicone appare ancora poca cosa. Pesano come un macigno gli anni spesi, male, ad insultare. Salvini, dal canto suo, sembra deciso a tirar fuori l’asso dalla manica. Tendere la mano all’ex Cavaliere, cercando di fare man bassa dei voti azzurri. Una scelta insidiosa, pronta a trasformarsi in un’arma a doppio taglio. La classica zappa sui piedi, insomma. Sono molti gli elettori forzisti già passati sulla sponda opposta, quella Renziana per intenderci, molti altri ancora prevedibilmente lo faranno.
Chi va con lo zoppo impara a zoppicare – Inoltre, a chi accusa la Lega Nord di aver perso la retta via, lasciandosi alle spalle l’era del Senatur, viene da dire che anche in quei proclami c’era veramente poco di serio. Politically, ovviamente. A poco servirà spacciarsi per partito anti-sistema se le cose rimarranno così come sono, avvolte cioè nel “puzzo” di rimborsi elettorali truccati. Il “partito delle scope”, infatti, sembra si sia inceppato nel momento più delicato. Un “guasto tecnico” che rischia di rilanciare i cugini pentastellati come unica “vera” voce fuori dal coro. Ai posteri l’ardua sentenza.
Per ora l’unica cosa certa è che a destra c’è fermento. Tutti assorti nel vano tentativo di affossare Renzi. Tutti dimentichi, allo stesso tempo, che Matteo è duro a morire. Da buon democristiano qual è, infatti, sa bene come tessere le fila di proficue alleanze politiche. Soprattutto, però, sa cadere sempre in piedi. La sua forza sta tutta qui. Nella nonchalance con cui affronta gli scandali che coinvolgono il PD. Così, mentre tutti gli altri tremano, lui rimane sempre saldamente in sella.
Ecco allora, che quella foto scattata a Bologna appare ancora più triste. Immagine desolante e, al tempo stesso, commuovete di coloro che dovrebbe contrastarne l’ascesa. Ma c’è ancora di peggio, se possibile. Provate ad immaginare la stessa scena, questa volta però senza Silvio Berlusconi. Chi avrebbe mai creduto che si trattasse di un evento politico. I biondi boccoli e gli occhioni azzurri di Giorgia Meloni non lasciano immaginare alcun tipo di fervore politico.
Poi, c’è lui l’altro Matteo. Colui che vorrebbe sistemare i profughi nelle piattaforme dell’Eni o, perché no, bombardare tutte le barche presenti nel mediterraneo. Se pensi a tutto questo prima sorridi, un momento dopo ti rendi conto che la strada per “liberarsi” di Renzi è ancora lunga. Soprattutto, però, priva di alternative credibili, se si esclude Silvio Berlusconi. Cosa tutt’altro che rassicurante.