Atletica, la Iaaf sospende la Russia a tempo indeterminato
Nonostante il tentativo di conciliazione tentato da Vladimir Putin, la Iaaf, il massimo organismo mondiale di atletica, ha sospeso a tempo indeterminato la Russia, mettendo così a rischio la partecipazione degli atleti alle Olimpiadi di Rio 2016
Una notizia ha messo in fibrillazione la Russia e il mondo dello sport. L’accusa è molto pesante: Doping di Stato. Per ora solo l’atletica è sul banco degli imputati come disciplina e non è escluso che vengano fatti ulteriori controlli in altre discipline. L’inchiesta, un faldone di 324 pagine diviso in 23 capitoli, è durata 6 mesi ed è stata portata avanti dalla WADA, l’agenzia mondiale anti-doping.
Secondo l’agenzia 1.417 provette sarebbero state distrutte per ordine di Grigory Rodchenkov, direttore dell’anti-doping di Mosca. Un altro dato emerso in questa vicenda lascia di sasso. Durante le Olimpiadi invernali di Sochi 2014 alcuni membri dei servizi segreti russi, spacciandosi per addetti alla manutenzione si sarebbero infiltrati nelle strutture anti-doping per manipolare i test.
Le conseguenze di questa inchiesta saranno drammatiche per la Russia. La più importante è la sospensione immediata della federazione di atletica da ogni attività agonistica a tempo indeterminato. Questa sanzione rischia seriamente di impedire la partecipazione alle Olimpiadi di Rio 2016. In virtù di questo provvedimento, alla Russia verrà impedito di ospitare la Coppa del mondo di marcia che si sarebbe dovuta svolgere a Cheboksary, ed i Mondiali juniores a Kazan.
Oltre a questa inibizione, richieste squalifiche a vita per 4 allenatori, 5 atlete ed un dirigente. A poco sono valse le scuse e un’indagine interna promesse alla Iaaf da Vladimir Putin. I capi d’accusa mossi dalla WADA dicevamo sono pesanti: false identità, campioni di laboratorio pre-esaminati o distrutti, siringhe e medicinali nelle camere negli atleti, soffiate su test a sorpresa, tangenti, intimidazioni ai DCO (gli ispettori anti-doping) e alle loro famiglie e moduli sulla reperibilità incompleti.
Le manipolazioni agli esami sembra avvenissero in due laboratori. Uno sito a Mosca e l’altro a 10 km dalla capitale russa. Il primo è uno dei 32 centri accreditati dalla WADA, guidato dal già citato Rodchenkov. Il secondo, dotato delle stesse strumentazioni, è noto come “Laboratorio della commissione dello sport moscovita per l’identificazione di sostanze proibite nelle provette degli atleti”. A dirigere questa struttura, Giorgi Gezhanishvili. Questo laboratorio svolgeva l’opera di “filtraggio”, in quanto serviva ad identificare gli atleti positivi e quelli di cui si sospettasse la positività.
La federazione russa non è nuova a questi stratagemmi. Anche negli anni della Guerra Fredda, era noto il laboratorio segreto dell’Unione Sovietica, dove per somministrare sostanze dopanti ai loro atleti, venivano utilizzati sistemi “matematici”. Il conto era presto fatto. Venivano effettuati dei test delle urine “interni” affinché si potesse preventivamente calcolare la curva di smaltimento degli ormoni, programmando in maniera sistematica l’assunzione delle sostanze. Il tutto per favorire dei benefici offerti dal farmaco senza però risultare positivo ai controlli. Grazie a questo sistema si è usciti da quello che era un duopolio e coinvolgeva solo l’atleta e il suo allenatore, per entrare in un sistema denominato “Doping di Stato” e che vedeva coinvolti anche medici, dirigenti sportivi, politici ed autorità militari.
Non estranea a questi giochi la DDR, la Germania Est, il cui caso più eclatante riguarda Heidi Krieger, atleta che grazie all’uso di steroidi conseguì importanti traguardi sportivi. Il problema è che per via della gran quantità di ormoni assunti, l’atleta, nel 1997 fu costretta ad operarsi per cambiare sesso. Ad oggi infatti è conosciuta come Andreas Krieger.
Altri Paesi dalla grande tradizione sportiva come Stati Uniti e Cina hanno pagato pegno al doping nel raggiungimento dei loro obiettivi. Prima dello scandalo occorso al ciclista Lance Armstrong, i casi più famosi in America sono stati quelli di Ben Johnson e Marion Jones. Alla nazionale cinese viene imputata invece l’età precoce delle atlete che coinvolge in grandi manifestazioni nonché una smisurata dose di doping somministrata nel corso degli anni ai propri atleti.
Anche l’Italia non è estranea a certi fenomeni. Si và dal caffè “corretto” con chissà cosa, somministrato a più riprese a tutti i calciatori negli anni ’60-’70 fino ai casi di Alex Schwazer e di una serie di ciclisti italiani (Di Luca, Riccò, etc.).
E proprio parlando di ciclismo, come non citare l’Operacion Puerto, la più importante inchiesta anti-doping portata avanti in Spagna tra febbraio e maggio 2006, con il coinvolgimento del medico Eufemiano Fuentes.
Il ladro che scappa avanti con la guardia dietro che la insegue, questa è l’immagine che meglio descrive chi assume sostanze dopanti e chi prova a frenare questo fenomeno. Perché, strano ma vero, chi ruba è sempre un passo avanti di chi lotta per impedirglielo. Per il bene dello sport e della legalità, è bene che la guardia, raggiunga il ladro impedendogli di scappare.
La questione è spinosa e sarà lungo l’iter che porterà alla conclusione della “battaglia” tra la WADA e la Russia e saranno necessarie settimane, forse mesi prima di poter avere un verdetto definitivo. Ad oggi gli atleti di Mosca posso solo sperare di realizzare il loro sogno a cinque cerchi.