“Il clima ideale” nella ex Jugoslavia degli anni ’90
Con “Il clima ideale” Franco Vanni esordisce nel mondo della letteratura contemporanea, raccontandoci gli orrori della ex Jugoslavia negli anni ’90
di Giulia Ciarapica
su Twitter @GiuliaCiarapix
Franco Vanni, milanese classe 1982, non solo è cronista giudiziario del quotidiano la Repubblica, ma dal settembre 2015 è entrato a far parte ufficialmente del mondo della letteratura contemporanea, pubblicando per Laurana Il clima ideale, un thriller ambientato tra la Milano degli anni Duemila e la ex Jugoslavia degli anni Novanta.
“Il clima ideale” è un romanzo d’esordio potente, è thriller per definizione, giallo per struttura, eppure conserva le molteplici sfumature tipiche del testo psicologico.
Abbiamo due protagonisti principali, Michele e suo nonno Folco, Milano, 2012; abbiamo Dragan, capo di una formazione paramilitare, che di morti ne ha fatti tanti, in quella Bosnia orientale del 1992. E poi abbiamo Nina, la figlia di questo famigerato capo e assassino, che ora tutti conoscono come il buon Aleksandar Jovanov, in corsa per la campagna elettorale serba.
Michele viene incaricato da suo nonno Folco di scoprire chi è Nina, cosa fa e dove vive. Ma cosa c’entra un novantenne milanese con una giovane donna serba, figlia di un criminale di guerra? Perché l’urgenza di avere quelle informazioni?
Questa è la storia che Franco Vanni presenta al pubblico dei lettori, una storia che si agita tra suspanse e dialoghi serrati e coinvolgenti tra i vari personaggi.
Di questo, della guerra nell’ex Jugoslavia e del rapporto tra scrittura giornalistica e scrittura letteraria, ne abbiamo parlato con l’autore.
Franco, tu esordisci nel mondo della letteratura contemporanea con Il clima ideale, un romanzo che non ha soltanto le caratteristiche del thriller vero e proprio, ma, piuttosto, ha la tendenza a muoversi su una linea psicologica, che lo rende più interessante. Da dove nasce l’idea di scrivere un romanzo come questo?
La storia da cui è nato Il clima ideale mi è venuta in mente nel tempo, senza che io avessi l’intenzione di fare un romanzo. Anzi, a dire il vero non ci avevo mai pensato fino a quando non ho cominciato a scrivere! Per questo, forse, il risultato non è un romanzo “di genere” vero e proprio. Da lettore direi che il libro è più vicino al thriller che al giallo. La narrazione non comincia con un fatto compiuto su cui indagare. La vicenda si costruisce pagina dopo pagina. La “linea psicologica” di cui parli, e su cui non avevo mai riflettuto, penso sia disegnata dai dialoghi fra i personaggi, che nel romanzo hanno un ruolo importante. Per farla semplice: i personaggi parlano tanto fra loro, quindi il lettore si può fare un’idea dei loro pensieri.
Il clima ideale, seppur ambientato negli anni duemila, ripercorre la storia sanguinolenta della ex Jugoslavia al principio degli anni ’90. Ci troviamo nella Bosnia orientale, 1992. Perché la scelta di affrontare un pezzo di storia così complesso e di cui, in verità, si parla ancora poco?
La storia mi è venuta in mente durante due lunghi viaggi in motocicletta, che ho fatto con mia moglie e con alcuni dei miei più cari amici. Viaggi che mi hanno portato nell’Europa Orientale e in Turchia, attraverso i Paesi dei Balcani. Tornato a casa ho cominciato a studiare, in modo un po’ maniacale, la storia recente dell’ex Jugoslavia. Ho letto tutto quello che potevo sulle guerre degli anni Novanta, di cui all’inizio avevo un’idea vaga e terrificante. Ricordo da bambino le immagini di Sarajevo assediata e dei morti di Srebrenica come una cosa lontana. Viaggiando in quei luoghi ho capito quanto siano in realtà vicini a noi, da un punto di vista geografico e umano.
C’è un personaggio del romanzo al quale sei più legato? E se sì, quale e perché?
Il personaggio a cui sono più affezionato è Folco, il nonno. Ho dedicato il libro ai miei due nonni (che si chiamavano entrambi Franco, come me) e in Folco c’è molto dei loro caratteri. A un certo punto della scrittura mi sono poi chiesto se fosse realistico che un novantenne fosse così attivo e avventuroso. E proprio in quel momento ho conosciuto, intervistandolo, Bernardo Caprotti, patron di Esselunga. Ha da poco ha compiuto 90 anni e ha un’energia incredibile. Di Caprotti, Folco ha il senso dell’umorismo.
Che tipo di protagonista è Michele? Possiamo dire che – a tratti – assomiglia quasi di più ad uno spettatore che non ad un vero e proprio protagonista della vicenda narrata, contrariamente a suo nonno Folco?
Folco è la mente, Michele l’esecutore. Di fatto sono protagonisti entrambi, con ruoli distinti. Michele ha il suo carattere, e lo dimostra nel lavoro che fa, nella vita che conduce. Ma quando ha a che fare con il nonno, si piega completamente alla sua volontà. Michele è un po’ come le ragazze del telefilm Charlie’s Angels, che si trovano a fare indagini e vivere avventure non per curiosità propria, ma eseguendo gli ordini di Charlie, il loro capo. Folco è il Charlie di Michele.
Perché la scelta di un titolo come Il clima ideale? Cos’è il clima ideale e chi lo crea, dove?
Nel libro, “il clima ideale” è quella serie di condizioni che consentono a chi ha commesso un crimine di farla franca. Finita la guerra, ogni guerra, passati i primi giorni si pensa a ricostruire, non a fare i conti sul passato. E nella distrazione generale succede che chi ha commesso atti orrendi riesca a farsi una nuova verginità, come l’uomo in copertina, che si rilassa al sole nascondendo la pistola dietro la schiena. Leggete il libro e vedrete che nella storia ritroverete molto di questa immagine!
Franco, tu sei cronista giudiziario del quotidiano la Repubblica, ed ora, per la prima volta, decidi di cimentarti in qualcosa di completamente diverso rispetto alla scrittura giornalistica. Che tipo di rapporto hai con la scrittura in generale? E, invece, che tipo di rapporto hai instaurato con la scrittura letteraria?
Scrivere di narrativa, per chi ogni giorno scrive di fatti reali, è un po’ come per un camionista fare le vacanze in camper. L’azione è sempre quella (scrivere in un caso, guidare nell’altro) ma cambiano le regole, il ritmo e le prospettive. Scrivendo di cronaca hai dei tempi segnati e delle consegne da rispettare, come guidando un camion. Scrivendo un romanzo invece non hai una direzione segnata, puoi seguire la tua fantasia e andare dove vuoi, come in camper. E lo fai con leggerezza, senza la responsabilità della cronaca. Un brutto romanzo, al massimo, rovina una serata al lettore. Un brutto articolo di cronaca giudiziaria invece può rovinare la vita delle persone di cui scrivi.
Quanto il tuo lavoro ha influenzato la scelta di scrivere un thriller, un romanzo che fosse a sfondo giallo, sebbene conservi quella sfumatura letterario-psicologica che lo contraddistingue?
Se non fossi cronista, forse non avrei mai scritto questa storia. La cronaca mi porta a conoscere sempre più a fondo Milano, la mia città, che nel romanzo ha un ruolo centrale. Ed essermi occupato negli anni di fatti cruenti, come appunto omicidi, mi ha sicuramente influenzato nella scelta della trama. Fare il giornalista mi ha poi aiutato a non avere troppa paura della “pagina bianca”. Per quanto sia ben fatto un giornale, il giorno dopo le pagine sono di nuovo bianche. È tutto da rifare. E non hai tanto tempo per pensare e rimuginare: se non scrivi in fretta, il caporedattore si incazza!
Domanda d’obbligo: a quando il prossimo lavoro? Continuerai sulla scia del giallo o ti cimenterai in qualcosa di diverso?
Mi piacerebbe scrivere un giallo classico, con il cadavere nelle prime pagine e la soluzione alla fine. Questo è un periodo di lavoro piuttosto intenso e non so bene dove troverò il tempo per scrivere. Nei prossimi mesi vorrei chiudermi in casa a scrivere da qualche parte per un paio di settimane, magari vicino a un bel fiume in cui pescare per rilassarmi.