Salvini, il presepe e il concerto della discordia
Sulla scia dei tragici fatti di Parigi, è “bastato” un presepe a riaccendere le polveri del dibattito tra integrazione e religione. Una manna dal cielo per la strategia politica di Salvini
“Natale sta arrivando, arriva Coca-cola”, recitava una nota pubblicità di qualche anno fa. Da un po’ di tempo, però, con le festività natalizie arriva puntualmente anche Matteo Salvini. In mano non porta bibite gassate, ma italianissimi presepi. Baluardi a tutela delle tradizioni nostrane. Anche quest’anno la storia si è ripetuta. L’occorrenza? La supposta cancellazione del concerto di Natale nell’Istituto comprensivo Garofani di Rozzano: un’onta “sacrilega” che meritava di essere lavata. Così, martedì 1° Dicembre, il leader leghista si è presentato di buon mattino davanti ai cancelli della scuola, urlando il suo disappunto nei confronti di chi cerca di cancellare le nostre radici cattoliche.
L’occasione era quanto mai ghiotta, a dimostrarlo l’andirivieni interminabile di politici e militanti, uniti nell’accanirsi sul povero Marco Parma, preside dell’Istituto, salvo poi scoprire che il concerto non era mai stato a rischio e che con questo neanche il Natale. Per il sollievo di tutti. La “sceneggiata” del segretario padano però, al netto delle strumentalizzazioni, ha scoperchiato il vaso di pandora, riportando alla luce il delicato rapporto tra religione, integrazione e terrorismo. Una tematica già emersa con forza in seguito ai fatti di Parigi.
Dimmi chi preghi, ti dirò chi sei – Per sgomberare il campo da equivoci, credo opportuno partire proprio da qui, ovvero dall’insensato e, ancor più, pericoloso dualismo, molto in voga di questi tempi: quello che vuole ogni mussulmano come un terrorista, una bomba umana pronta ad esplodere in qualsiasi momento. E’ proprio di questo tipo di argomentazione che il dibattito non ha bisogno. Ma questo Salvini lo sa bene. Lo sanno sicuramente meglio i milioni di ebrei deportati ed uccisi, colpevoli di incarnare un male assoluto da estirpare. Per questo, suona ancor più beffarda scelta di titolare: “Bastardi islamici”. Ma questo il direttore di Libero lo sa bene.
Dio è morto – Quello che, invece, non sembra affatto chiaro è il nocciolo della questione. Difendere le nostre radici cristiane, sempre che ce ne siano, o rimediare ad un fallimentare sistema d’integrazione. Magari entrambe. Ma andiamo con ordine: se c’è qualcosa che in questo paese è andato perso, sembra proprio siano le radice cristiane. Quelle che parlano di solidarietà, sobrietà e onestà. Smarrite nei corridoi di lussuosi palazzi occupati da porporati, nelle accuse razziste rivolte ai rifugiati che sbarcano in Italia. Visto da questa prospettiva, l’Islam appare quanto mai un falso nemico per il cristianesimo.
Dolcetto o scherzetto – Altro questione da chiarire è quella relativa al fantomatico “regalo” al terrorismo di cui tanto si (s)parla. Perché, se è vero come è vero che un regalo è stato fatto, questo è arrivato sotto forma di armi, finanziamenti e petroldollari. Lo stesso cadeau che adesso ci si sta rivoltando contro come un boomerang impazzito. Per sconfiggere l’ondata di terrore che minaccia di sconvolgere il vecchio continente, a poco serviranno stelle comete, presepi e luci ad intermittenza. La radicalizzazione, infatti, è conseguenza e mai causa. Ce lo ricordano i luoghi in cui questa prolifera: carceri, periferie degradate o luoghi di culto clandestini.
Il crogiuolo delle razze è una ricchezza – Per questo servirà integrazione, ovviamente. Un’integrazione, però, che parta dal favorire una cittadinanza attiva, perché come ha fatto notare qualcuno, nel vano tentativo di difendere le radici cristiane in pericolo: “Le identità forti non hanno paura delle altre. Queste si autotutelano e si autoalimentano”. Se la nostra è una di queste, sempre che ne esistano, resisterà alle “interferenze” esterne. Diversamente, si mescolerà con altre e da queste verrà a sua volta condizionata, come del resto è sempre accaduto.
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire – Non c’è cosa peggiore della radicalizzazione e della estremizzazione delle religioni per favorire l’integrazione. Un fenomeno che punta solo ad una snaturata accentuazione delle differenze e delle incompatibilità, rendendo impossibili i cambiamenti, mai accettando qualcosa di diverso da quanto prescritto. Con l’incomprensibile pretesa, come se non bastasse, di aver tutte le risposte. Un limite che si è, purtroppo, troppo spesso rivelato un muro insormontabile. Questo accade perché la fede è al contempo fatto pubblico e momento intimo. Sarebbe sbagliato credere che questa possa essere l’unico elemento di congiunzione. Meglio puntare sulla tutela delle diversità, allora.
Parole, parole, parole – Ciò nonostante, il dialogo inter-religioso rimane un utile grimaldello per capire “gli altri”, evitando di collegare semplicisticamente Islam e terrorismo, appunto. La strage del Bataclan ci ricorda, una volta di più, che il problema non è l’integrazione in sé per sé, quanto piuttosto l’ideologizzazione della religione ad uso e consumo di chi vuole dividere. Un fenomeno, però, che non ha nulla a che fare con il “sacrificio” dei tanto cari crocifissi o dei canti di natale.
O con me o contro di me – Ciò che preoccupa maggiormente, è vedere come all’evidente perdita di credibilità da parte delle istituzioni corrisponda una “gelida” secchiata di finto senso religioso. Becero tentativo di creare per l’ennesima volta una netta separazione tra “Noi” e “Loro”. Inutile, quindi, sperare che anche la politica possa favorire l’integrazione. Ne sono una prova lampante le continue strumentalizzazioni “che vengon giù dalle stelle”, neanche fossero fiocchi di neve.
Ecco allora che l’unica speranza passa per le mani dei cittadini. Di quella componente laica che sembra si sia destata, finalmente. Da nord a sud, infatti, non si contano più le scuole che “minacciano” di far sparire questi simboli tanto acclamati. Una presa di coscienza che, secondo il parere di chi scrive, è arrivata con colpevole ritardo. Questa, però, è solo un’opinione personale e nemmeno troppo autorevole.
Solo i cittadini, infatti, possono mettere da parte odi e paure e tendere la mano a chi, pur indossando abiti diversi, rimane fratello. Perché c’è solo da guadagnare nell’accogliere le diversità e farne patrimonio comune. Il passato docet. Ancor di più in un momento come questo, dove i due modelli di integrazione per eccellenza, inglese e francese, fanno acqua da tutte le parti. Colpevoli di aver fatto della religione l’unico salvagente al quale aggrapparsi per sentirsi parte di qualcosa.
Fonte foto: http://www.tempovissuto.it/
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