#Piùlibri15. Export , voce del verbo innovare
In occasione di “Più Libri più liberi” a Roma sono stati anticipati i risultati della ricerca sull’export del libro. Le cifre dell’editoria italiana all’estero fanno riflettere sul legame tra innovazione e internazionalizzazione
Innovare: verbo transitivo; rendere nuovo, mutare uno stato di cose, riacquistare forza, vigore, efficienza.
Questo l’obiettivo di “Export: voce del verbo innovare”, incontro sul mercato internazionale dei libri che si è svolto all’interno di “Più libri più liberi”, la Fiera della piccola e media editoria di scena dal 4 all’8 dicembre al Palazzo dei Congressi di Roma.
Con Marzia Corraini (Corraini Edizioni), Ferdinando Fiore (ICE), Giovanni Peresson (AIE), Cinzia Seccamani (Find Out Team) e Stefano Salis (Il Sole 24 Ore) l’incontro ha dato l’opportunità di presentare o, meglio, di anticipare, i risultati dello studio realizzato dall’Associazione Italiana Editori – per conto di ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, sulle importazioni e esportazioni dei diritti sui titoli, italiani e non, che ha lasciato dei significativi spunti di riflessione sull’andamento attuale dell’editoria.
L’indagine censuale, che verrà presentata nella sua interezza nel mese di gennaio, ha coinvolto 1.200 aziende editoriali – tipografiche, analizzandone le operazioni di acquisto e vendita in tutto il mondo tra il 2014 e il 2015.
I dati sono stati confrontati con quelli dell’ultima rilevazione analoga avvenuta nel 2007. A distanza di 8 anni, emerge una ventata di cambiamento in molteplici direzioni. Cresce la narrativa: da sola, rappresenta il 73,2% delle vendite dei diritti all’estero, un dato al quale fa da contraltare, però, una contrazione della saggistica e una drastica riduzione degli illustrati.
L’Europa rimane il principale luogo di incontro tra domanda e offerta, ma, nella geopolitica della compravendita, entrano dirompenti altri segmenti. Asia, Pacifico, Turchia sono le nuove zone di interesse verso cui l’Italia, e non solo, inizia a strizzare l’occhio.
Sono cinesi, ad esempio, 2 tra le 10 aziende aziende che si collocano tra i gruppi editoriali più grandi al mondo: importanti compratori di licenze che, nell’ultimo periodo, iniziano a focalizzare la loro azione anche nella vendita dei propri titoli, contribuendo a realizzare quel mercato di nicchia tipico di alcuni settori. Un’elite sempre meno Made in Italy: il Belpaese perde nell’artigianalità, rinunciando al primato di eccellenza nelle produzioni.
Per l’Italia, dunque, il cammino verso la svolta internazionale è ancora lungo. L’export editoriale italiano, infatti, vale solo il 9,5% del mercato e solo il 16% delle realtà nostrane opera con l’estero. Alla base di ciò, si trovano dei fattori che, per la piccola e media editoria, giocano un ruolo determinante.
Elementi sinonimi di difficoltà strutturali, procedurali, di conoscenza ai quali si aggiungono quelli che insistono su una sfera propriamente relazionale: dalle esperienze negative con agenti esteri al poco supporto promozionale dell’offerta.
Cosa fare? Invertire l’andamento di questi fattori impone una nuova cultura. La percezione di una necessaria innovazione che non può più prescindere dall’internazionalizzazione. Un valore del libro senza confini che dovrebbe misurarsi nelle singole fasi di realizzazione, nei contenuti, ma, in prima battuta, di un volontà dell’editore e, ovviamente, anche dell’autore di pensarsi, proiettarsi in una dimensione internazionale, sperimentando e osando.
L’Italia può e deve fare molto, la cultura può ancora essere il motore per la ripresa dell’economia e il settore su cui puntare le migliori politiche di intervento.
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