Matteo Renzi e la Leopolda dell’incoronazione
Smontati i banchetti e arrotolate le bandiere, Renzi dà il via alla 6ª Leopolda. Tra defezioni e nuovi protagonisti, la kermesse fiorentina lancia ufficialmente la corsa alle amministrative 2016
Non c’è nulla di certo in questo mondo – affermava Benjamin Franklin – tranne la morte, le tasse e la Leopolda, aggiungerei io. Un appuntamento così atteso, giunto alla sesta edizione, che rischia di far passare il Festival di Sanremo e la Milano fashion week quasi come una riunione di condominio. Sul palco della kermesse fiorentina, in programma dal 11 al 13 dicembre, c’erano un po’ tutti: Ministri, assessori e consiglieri vecchi e nuovi. Assenti giustificati i soliti “dinosauri”. Per loro, infatti, il “treno renziano” non fa fermate nella stazione ferroviaria voluta da Leopoldo II di Toscana.
L’edizione 2015, la seconda Leopolda di governo, ha un qualcosa di diverso. Ha il profumo della consacrazione. Il dolce sapore della maturità, come hanno sottolineato gli organizzatori. Matteo “il Rottamatore” si è fatto grande, lo si capisce dall’assenza dei “famigerati” tavoli di lavoro. Quelli che un tempo servivano a dispensare consigli sul da farsi. Non ne ha più bisogno il Presidente-segretario, ora va come un treno, appunto. Verso l’orizzonte ed oltre. Lo testimoniano le tre sezioni scelte per l’occasione: ieri, oggi e domani. Volontà di continuità per qualcuno, futuro nefasto per altri.
Ma ‘ndo vai se la Leopolda non ce l’hai – Di sicuro, come ha ricordato lo stesso Renzi, c’è la conferma che senza Leopolda Matteo non sarebbe mai arrivato a Palazzo Chigi. Poco importa, se il Pd continua inesorabilmente a perdere pezzi e i tesseramenti sono al minimo storico. Quel che conta è governare, finalmente! Magari per più di due anni. Se per far questo sarà necessario vendere l’anima al “diavolo di Arcore” o scendere a compromessi con la destra di Alfano, poi, importa ancora meno. In fondo, per questa edizione è stato scelto un titolo molto evocativo: La terra degli uomini, ma si sa, loro, gli uomini, non sono perfetti.
Chi si loda si sbroda – Perfetti, anzi perfettissimi, sembrano invece i risultati che il Governo si vanta di aver raggiunto. Puntualmente sbandierati uno dopo l’altro dagli ospiti presenti a “casa Renzi”. Peccato, però, che ad oggi manchino ancora all’appello: il superamento del bicameralismo, la riduzione dei parlamentari, l’abolizione dell’Irap e, dulcis in fundo, la progressività sui redditi “altissimi”. Per non parlare del Jobs Act, un tantino sopravvalutato, e della riforma elettorale dalla quale sono spariti come per magia i collegi uninominali. Dettagli, verrebbe da dire.
Non è un paese per giovani – Ciò detto, questa è anche e soprattutto la Leopolda della svolta. Quella della transizione, che vede Matteo Renzi svestire i panni dell’outsider per indossare, quelli più formali, dell’insider. La scenografia è sobria, come si addice a chi doveva ridurre i costi della politica. Mentire sapendo di mentire. Un grande mappamondo sullo sfondo e tante valigie di cartone, simboli drammatici di una generazione di giovani in fuga da un paese in cui faticano a trovare spazio.
La Leopolda che scotta – Gli stessi giovani che, insieme ai correntisti inferociti per un decreto “salva-banche” che grida vendetta, si sono dati appuntamento per sabato fuori dalla ex stazione ferroviaria. Volevano manifestare il loro disappunto per una “buona-scuola” che, in fondo in fondo, tanto buona non sembra. Volevano esprimere il sacrosanto diritto di critica. Hanno scoperto, invece, che ad aspettarli non c’era né la Boschi né tanto meno il Ministro Giannini ma la celere in tenuta antisommossa. Renzi lo aveva detto che le proposte erano bene accette, le critiche un po’ meno.
3, 2, 1 let’s go – Soprattutto adesso, con un countdown che porterà dritti verso le prossime amministrative. Si sta giocando il tutto per tutto, Matteo Renzi. In ballo, infatti, c’è la credibilità del suo progetto politico, quello presentato sei anni or sono, quando al Governo c’era Berlusconi, a capo del Pd c’erano Bersani e D’Alema e il partito era un “ditta”. “Un paese di promettenti e non di conoscenti”, incalzava dal palco della prima edizione Matteo “il meritocratico”. Di quelle belle parole, oggi, è rimasto ben poco, come testimoniano gli amici di una vita messi un po’ qui un po’ lì.
Cantami o diva del pelide Renzi – Tra questi, però, non figura nessuno dei partecipanti al meeting di Roma. Il teatro delle Vittorie, infatti, è terra straniera per Matteo Renzi. Un “covo di serpi” in seno al Pd o all’altro Pd, come “scherzosamente” lo chiama dalla Leopolda. Meglio tenersi alla larga, schivando le critiche e facendo incetta di elogi. Un bagno di superbia in vista del ritorno in parlamento. Ad attenderlo al varco, infatti, ci saranno i soliti “rivoltosi” capeggiati dal duo “Bruto” Bersani e “Cassio” Cuperlo, ai quali si è aggiunto anche Nichi Vendola. Ma questa è un’altra storia.
Quella attuale, invece, parla di una Leopolda dove il culto della personalità ha quasi del grottesco. Dove i fedelissimi del Presidente-segretario sembrano decisi a far fronte comune, pronti a resistere a chi, a detta loro, vorrebbe distruggerli. Matteo Renzi ha voluto sottolineare che a Firenze le correnti non erano bene accette, dimentico forse che la più grande di tutte è proprio la sua. Quella renziana, appunto, che pende dalla sue labbra neanche fosse il pifferaio magico. La Leopolda appena conclusasi, ha ribadito il Presidente del Consiglio nel tentativo di difenderne il carattere politico, non è stato e non sarà mai un meeting di partito. Niente bandiere né simboli, solo l’ombra scura del “partito-nazione”. Ops, del Partito della Nazione. Non potrebbe essere diversamente. Perché quello a cui si è assistito nella tre giorni “leopoldina” è stato tutto fuorché politica. Quella con la P maiuscola, tanto per intenderci. La politica, infatti, quella vera le sue P le porta con se. La P di partecipazione, di tutti e non solo di chi la pensa come noi. La P di partito, quello a cui bisogna rendere conto se si ricopre la carica di Segretario, evitando di far man bassa di voti a destra e manca. Infine, la P di primarie, quelle che non ti danno il diritto divino di governare un paese.
(fonte immagine: agenziaimpress.it)
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