2015, l’anno della Privacy
Il 2015, anno ricco di proposte e dibattiti per l’universo della riservatezza, si chiude con le critiche mosse dal New York Times. Secondo la testata, le nuove regole potrebbero seriamente compromettere la libertà di espressione
The last day. Si sa: ancor prima prima di brindare con calici e bollicine, si ripercorre anche per pochi istanti quanto salutiamo, lanciandoci nell’antica arte dei bilanci. Ecco, per quanto mi riguarda, per quello che qui condivido, le mie riflessioni vanno verso la privacy, regina indiscussa dell’anno che tra qualche ora sarà passato – e che ha segnato gli ultimi 365 giorni con riforme, proposte, polemiche.
Un tempo, questo, che non lascia indifferenti alle questioni della riservatezza: dall’intuitivo bisogno di regole per i colossi della rete alla necessità di una dimensione umana dell’Internet of Things, passando per il Safe Harbor – ma senza dimenticare il signor Oblio, gioco di parole a parte.
Un anno che è stato la dimostrazione di quanto ciò che c’è di più immateriale, i dati, sia stato la prova tangibile dell’attenzione di tutti: da chi le norme le fa a chi le norme le tutela – o comunque dovrebbe tutelare.
E proprio verso le fine, l’America firma i fuochi d’artificio. Il New York Times si scaglia contro la nuova normativa privacy, frutto di un processo iniziato nel 2012, la quale mal si concilierebbe con la libertà di espressione.
Secondo la testata della Grande Mela, le misure più problematiche sarebbero quelle centrate, chiaramente, sull’ormai popolare diritto all’oblio – al quale, alla fine, ci siamo anche affezionati.
Le nuove regole in materia di data protection in vigore dal 2018, infatti, imporrebbero alle aziende del web una rimozione immediata dell’informazione da dimenticare, anche senza aver previamente accertato se tale cancellazione debba essere permanente o meno.
La paura di un’incontrollabile espansione del right to be forgotten difficilmente viene scongiurata guardando i numeri. Solo in Europa, dopo la sentenza Google Spain, 350.000 utenti hanno chiesto a Big G. di rimuovere link a 1,3 milioni di pagine; richieste esaudite dal colosso di Montain View per il 42%.
Senza parlare, poi, della poca chiarezza sull’applicabilità dei principi fissati anche oltreoceano con la sentenza del maggio 2014. Un Amleto contemporaneo non aiutato, dunque, dalle nuove regole; le quali rischierebbero, di fatto, di amplificare ancora di più il divario tra Europa e America.
Le perplessità a stelle e strisce non tralasciano neanche gli altri obblighi per le aziende del web. Oltre all’esplicito consenso che queste dovranno ottenere dai consumatori/utenti per l’utilizzo dei dati personali, vi sarebbe un obbligo di segnalazione, ai diversi regolatori, nel caso di intrusione o furto dei dati conservati entro 72 ore dalla scoperta del misfatto.
Per chi non rispetterà le regole, inoltre, sanzioni fino al 4% delle entrate globali.
Ora, il fatto che le critiche principali arrivino proprio dall’America, terra dei giganti del www, se da un lato risponde a quell’antica logica – come l’arte dei bilanci di cui sopra – di curare egoisticamente i propri interessi, dall’altro, non è del tutto infondata.
Sempre sul New York Times, a proposito del diritto all’oblio, si legge: “It is reasonable to allow people to delete some information, like embarrassing photographs they posted on Facebook. But this right has been used to make it harder to find legitimate information, like old news articles” – “è ragionevole consentire agli utenti di cancellare alcune informazioni, tipo le fotografie un po’ imbarazzanti postate su Facebook. Ma questo diritto è stato utilizzato per rendere più difficile la ricerca di informazioni valide, come vecchi articoli di giornale”
Il problema diventa allora l’accesso alla conoscenza. Nonostante la rimozione dei link operi solo verso quelle ricerche effettuate con il nome di una persona; e, dunque, l’informazione, la notizia, potrebbe essere altrimenti reperibile usando diverse parole chiave. Come fare nel caso in cui tali parole chiave non si conoscano?
La risposta implica una necessaria scelta di campo. Di conoscenza e riservatezza se ne parlerà anche l’anno prossimo, con l’augurio, però, di riflettere su un giusto equilibrio per ciò che c’è di più prezioso nella globalizzazione: l’informazione.
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