2016: Renzi contro tutti o tutti contro Renzi
Mentre Renzi si crogiola al sole dei successi ottenuti nel 2015, le opposizioni serrano i ranghi e preparano l’assalto finale. Chi ci sarà alla testa dell’alleanza anti-renziana? Una breve riflessione
Digeriti panettoni e pandori la politica italiana si sta, lentamente, destando dal torpore natalizio. Le polveri sono ancora bagnate dai brindisi di fine anno, di carne al fuoco però ce n’è davvero a volontà. Lo dimostrano le grandi manovre che stanno interessando un po’ tutti: dal M5S, fresco della prima defezione del 2016 all’ombra della Certosa di Parma, passando per FI. In casa azzurra, a quanto pare, il natale sembra aver rinnovato le preoccupazioni per un partito in subbuglio. Diviso sulla strategia da tenere nelle prossime amministrative, ma ancor di più su come gestire il post Berlusconi.
Ci eravamo lasciati sulle “prose” dell’inferno dantesco e sulle vicissitudini di uno dei suoi protagonisti. Quel Conte Ugolino diventato, grazie a Bondi, l’immagine ultima e, con tutta probabilità, più veritiera di un leader un tantino a corto di fiato. Lo sfogo del ex “cortigiano” di Arcore ha riacceso i riflettori sulle fragilità di un partito che così com’è non farebbe paura ad una mosca, figuriamoci a Renzi. Il 2016, però, dovrebbe essere l’annus mirabilis per la “santa alleanza”. Quello in cui, il trio Be-Sa-Me potrebbe finalmente ridurre il distacco che lo divide dal “Partito di Renzi”. Mai condizionale, tuttavia, fu più azzeccato.
La paura fa 90 – Difatti, mentre Matteo I di Leopolda non perde
occasione per tessere le sue lodi, passando da una platea all’altra con un nonchalance da far invidia ad Arturo Brachetti, sul fronte opposto tutto tace o quasi. Un silenzio assordante che pesa come un macigno, facendo crescere dubbi e perplessità. La bagarre a cui siamo stati abituati sembra un lontano ricordo. Al suo posto i toni pacati di chi si sta giocando il tutto per tutto. Consapevole che la minima vibrazione può provocare una valanga. Dietro questa apparente tranquillità, però, si celerebbe il volto del “nemico pubblico” numero 1. Colui che a breve potrebbe ricevere il tanto agognato titolo di anti-Renzi.
Primarie o non primarie, questo è il problema – Quella che fino a poco fa sembrava una partita a tutto campo, oggi sembra aver assunto le sembianze di una disputa territoriale. Le amministrative, infatti, hanno sempre di più il sapore dell’ultima chiamata. Un banco di prova che non ammette errori. Lo sa bene Berlusconi, sempre più preoccupato di veder trasformato il voto di giugno in una sorta di primarie per la guida del centro-destra. Le stesse primarie messe alla porta fin da subito, ma che potrebbero rientrare dalla finestra. Meglio salvare il salvabile allora, puntando magari sulle liste civiche risparmiando a Fi l’onta dell’umiliazione.
Giorgia non aver paura di tirare un calcio di rigore – L’ex Cavaliere, tuttavia, non è l’unico a sentire il fiato sul collo. Giorgia Meloni e Matteo Salvini, infatti, non se la passano certo meglio. Su di loro grava il compito di dover fare il salto di qualità, uscendo finalmente allo scoperto. Quale miglior occasione, allora, se non la poltrona di Sindaco. Un’eventualità, questa ultima, scartata a priori ma che rischia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Giorgia, più di Matteo l’altro, rifiutandosi rischierebbe l’accusa di lesa maestà. Un peccato originale difficile da cancellare. Come fu per l’indimenticato campione brasiliano: Radamel Falcao, colpevole di non aver voluto tirare il rigore decisivo che avrebbe portato Roma sul tetto d’Europa.
Tra i due litiganti il terzo gode – I futuri appuntamenti elettorali offrirebbero a Salvini la possibilità di mandare in pensione, una volta per tutte, il redivivo Berlusconi. Nei destini dell’ex Cavaliere, infatti, si intravede l’ombra scura della DC di Martinazzoli discioltasi come neve al sole nel lontano 1993. Dall’altro lato, ciò che appare sinceramente più probabile è la definitiva consacrazione del M5S. A far pendere l’ago della bilancia in questa direzione, l’oggettiva considerazione che il movimento pentastellato è quanto di più coeso e strutturato ci sia sul panorama politico attuale. Una cosa non da poco di questi tempi.
Chi semina vento raccoglie tempesta – Al netto delle considerazioni prettamente politiche, rimane il fatto che il M5S assomiglia sempre più ad un scrigno magico. Un vero e proprio vaso di pandora pronto ad esplodere da un momento all’altro. Al di fuori, infatti, tutto sembra perfetto, idilliaco verrebbe da dire. Al suo interno, però, si nasconde una tempesta fatta di diktat, minacce ed espulsioni. Un “dettaglio” che, alla lunga, rischia di rimettere tutto in discussione. Anche e soprattutto con questo, Grillo e “associati” dovranno fare i
conti.
Mentre gli altri si accaniscono su quel che resta di un elettorato ormai quasi completamente ipnotizzato, Matteo Renzi sembra tessere la sua tela. Sono lontani, però, i giorni in cui il Presidente-segretario faceva sfoggio della sua proverbiale sicurezza. Adesso, infatti, gli equilibri sembrano cambiati e i conti non tornano più. Ecco allora che, come per magia, le amministrative non sono poi così importanti. Meglio spostare l’attenzione sulle riforme, quella del Senato in primis. Non una a caso, perché Matteo lo sa bene su quale cavallo puntare.
La scelta è caduta, casualmente, su quella dove può contare con un ampio consenso parlamentare. Sia FI che il M5S, per motivi diversi, infatti sembrano orientati a sostenerla. Il primo perché ha contribuito a scriverla. Il secondo, invece, perché vede in essa il trampolino di lancio dal quale iniziare un reale taglio dei costi della politica. Con questa scelta, Matteo Renzi sembra aver deciso di mettere da parte momentaneamente il o con me o contro di me, che aveva caratterizzato la strategia politica fin ad ora, abbracciando un quasi lettaniano sistema di mediazione. Ai posteri l’ardua sentenza.
(fonte immagine: http://www.ilgiornale.it/)
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