“Avrei voluto essere Pantani” in scena a Roma
Ci sono sportivi che restano nella mente e nel cuore degli appassionati. Uno di questi è Marco Pantani. Il vuoto lasciato dal corridore romagnolo è ben evidenziato da Davide Tassi e dal suo spettacolo, “Avrei voluto essere Pantani”, in scena al Teatro Ambra alla Garbatella di Roma
di Andrea Pulcini
su Twitter @Purcins
Davide Tassi è in scena. Un tavolo, una sedia, due birre e una bicicletta. Questa la scenografia dello spettacolo da lui interpretato, “Avrei voluto essere Pantani“, in scena fino al 17 gennaio 2016 al Teatro Ambra alla Garbatella di Roma.
Tassi sul palco rappresenta un gregario, figura strana del mondo del ciclismo. Un uomo che corre solo per far numero e aiutare il proprio capitano. Ma lui si sente fortunato in quanto sa di aver avuto un privilegio. In una vita scevra da successi e medaglie ha avuto l’onore di correre assieme a quell’uomo pelato con le orecchie a sventola che in pianura era uno dei tanti ma che come partivano le pendenze toglieva la maschera e mostrava al mondo il suo talento.
La vita di Marco Pantani sfila via, una pedalata alla volta, raccontata con mirabile perizia dal’attore. Dai successi nei dilettanti al primo, tanto agognato trionfo tra i professionisti, il 4 giugno 1994 a Merano ottenuto dopo uno scatto sul Mortirolo.
Per stessa ammissione dell’attore, Pantani aveva “Piedi che mitragliavano pedalate”.
Al Tour de France di quello stesso anno arriverà terzo. La corsa a tappe francese lo consacrerà. Durante quella manifestazione ma nell’anno successivo, mostra al mondo la sua abilità da scalatore “domando” con una facilità estrema l’Alpe d’Huez. “La strada, sembra ‘inchinarsi’ al suo passaggio”. commenterà l’attore.
Nel ‘95 i primi guai. Durante la Milano–Torino, all’uscita di una curva viene travolto da una Jeep, insieme ad altri due corridori, incredibilmente presente sul tragitto di gara. La sua gamba si rompe in più punti ed in pochi ipotizzano un suo ritorno alle corse. Torna più di un anno dopo, al Giro d’Italia del 1997. La gioia dura poco, per colpa di un gatto nero che gli attraversa la strada è costretto a rinunciare per l’ennesima volta alla “corsa rosa”.
Corre a sorpresa il Tour de France. Incredibilmente (in quanto non si era allenato a dovere per la Grande Boucle) conclude 3°. È l’ennesimo miracolo di Pantani, che dichiarerà: “Sono arrivato terzo perché non mi sono allenato a dovere a cronometro, mi basterà limare questo mio difetto e l’anno prossimo il Tour sarà mio”. È profetico “il pirata”, perché il 1998 è il suo anno di grazia. Non solo farà suo il Tour ma, pochi mesi prima vincerà anche il Giro d’Italia, centrando un’impresa che era riuscita prima di lui solo a Fausto Coppi. Con questo doppio successo il nome di Marco Pantani entra nella leggenda. Marco non era più un semplice ciclista ma un idolo. Un simbolo.
La fine però era dietro l’angolo: 1999, 4 giugno, Madonna di Campiglio. Accade l’irreparabile. Il migliore di tutti che aveva 5 minuti di vantaggio sul secondo in classifica e 6 sul terzo viene squalificato. Ematocrito di 3 punti superiore al normale. Questa la condanna inflitta ad un uomo, uscito col morale a terra da quel verdetto. L’uscita dall’albergo di Madonna di Campiglio sembra quella di un film. Un uomo, scortato da 2 poliziotti, che sembra correre inerme verso il suo destino. Intervistato dirà: “Mi sono rialzato tante volte ma questa volta non credo sarò in grado di farlo”.
Qui parte una grande riflessione di Tassi. Mette in ballo le varie ipotesi messe in giro in questi anni. Si sofferma con rabbia su quella che vede coinvolto Vallanzasca. L’attore pensa e crede che il noto criminale abbia tirato in ballo il ciclista squalificato più per farsi pubblicità che per altro.
Qui interviene Alessandro Donati, con un cameo nel quale recita sé stesso. Sono parole semplici quelle dell’ex allenatore di atletica, intervistato dal nostro giornale nel dicembre 2013. Allontanato dal suo incarico dopo aver scoperto e denunciato l’uso frequente di doping all’interno della sua federazione e soprattutto per aver scoperto e denunciato quanto occorso a Giovanni Evangelisti, reo di ritrovarsi suo malgrado al centro di un caso diplomatico che lo avrebbe visto qualificarsi terzo al termine della prova mondiale svolta a Roma nel 1987. Per raggiungere tale obiettivo venne prima manomesso un segnalatore di punti con il conseguente stravolgimento del risultato del saltatore.
Davide Tassi a questo punto fa una domanda su Pantani. Donati ci offre una triste realtà dei fatti: “Pantani, come tutti in quel periodo si dopava, la sua sfortuna è stata data da un incidente occorso ai controllori dell’UCI che, ritardando i controlli ha eluso i tentativi di taroccare tramite uno stratagemma i risultati del test”.
Qui il Tassi ciclista si scopre fragile: “Non so più distinguere la mia vita con e senza l’assunzione di queste sostanze. Il nostro è diventato un gioco di furbizia. Siamo uomini alla merce dei poteri forti, siamo marionette e come tali dobbiamo comportarci”.
Pantani è stato schiacciato da questo sistema. Il vero e grande colpevole di quanto gli è successo è il Coni, organo in rotta col campione in virtù della campagna di cui si è fatto portavoce contro i controlli svolti dall’Ente ritenendo quelli dell’UCI (Unione Ciclistica Internazionale) attendibili. Il tempo ed i vari casi (Armstrong docet) dimostreranno il contrario.
Questa corsa al colpevole non cambia quanto succederà il 14 febbraio 2004, giorno in cui, un uomo, ormai preda della sua depressione ha lasciato questo mondo creando un vuoto in chi, impazziva vedendo questo improbabile funambolo scalare le montagne come nessuno era riuscito a fare prima.
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