I 50 anni di Mike Tyson
Il controverso pugile statunitense compie mezzo secolo. Soprannominato “Iron Mike”, è considerato uno dei più forti pesi massimi di sempre. Ma nella sua vita anche 3 anni di carcere per stupro, la conversione all’Islam e il morso a Holyfield
di Graziano Rossi
su Twitter @grazianorossi
Se penso alla figura di Mike Tyson, la prima immagine che ho davanti agli occhi è quella di esattamente 19 anni fa, quando il 28 giugno del 1997 vidi un pugile grande e grosso prendere a morsi il suo avversario, il cui nome era Evander Holyfield. Avevo quasi 14 anni e non mi resi conto subito che quel boxeur di 1 metro e 80 per 100 chilogrammi fosse uno dei pesi massimi più forti di sempre.
“Iron Mike”, questo uno dei suoi soprannomi, compie oggi 50 anni: nato il 30 giugno del 1966 in un quartiere di Brooklyn a New York, il piccolo Michael Gerard, timido ragazzino, ha una madre alcolizzata, un fratello e una sorella. A 11 anni il primo episodio violento, quando prende a pugni un suo coetaneo che ha mozzato la testa a un colombo, volatile che lui adorava dato che li allevava sul tetto di un palazzo disabitato. L’edificio si trovava però nel quartiere di Brownsville, uno dei più difficili degli Stati Uniti.
Di lì a poco diventerà membro proprio a Brownsville di una gang, esibendosi in diversi incontri per strada senza alcun limite di età o peso. Il successivo periodo in riformatorio darà la svolta a Mike, che notato da un secondino ex campione di pugilato viene presentato a Cus D’Amato, che negli anni ’50 fu allenatore di un certo Floyd Patterson, il più giovane campione dei pesi massimi di sempre. Il 6 marzo 1985 il primo incontro da professionista e la prima vittoria per ko, la prima di 15 consecutive (di cui 11 già nel primo round).
Dopo la copertina che Sports Illustrated dedica a Tyson, soprannominandolo “Kid Dynamite“, D’Amato muore a causa di una polmonite. Un anno dopo la cintura di campione del mondo, conquistata contro Trevor Berbik con un ko nel secondo round. Il futuro “Iron Mike” batte così il record di Patterson, diventando a 20 anni, 4 mesi e 22 giorni il più giovane campione del mondo nella storia del pugilato.
La prima sconfitta arriva a inizio 1990, quando a Tokyo Tyson viene battuto da James Douglas. Ma è quasi due anni dopo che la sua carriera si interrompe bruscamente: a 24 anni il pugile di Brooklyn viene condannato a 10 anni di carcere per lo stupro di una reginetta di bellezza. Gli anni tra le sbarre saranno solo tre grazie all’uscita per buona condotta e una volta fuori, nel marzo del 1995 Tyson si converte all’Islam con il nome di Malik Abdul Aziz. Esattamente come “Il Più Grande”, Muhammad Ali, che lo stesso “Iron Mike” incontrò per la prima volta in riformatorio.
Dopo la riconquista dei titoli Wba e Wbc nel 1996, arriva il fatidico 28 giugno 1997, quando Tyson sul ring di Las Vegas incontra Evander Holyfield in un match tesissimo. Nel terzo round Iron Mike non utilizza il paradenti, e durante uno scontro ravvicinato con l’avversario gli stacca un pezzo d’orecchio. Il match viene sospeso e Tyson è squalificato per un anno.
Da quel momento in poi la carriera del “pugile violento” va in declino: pochi incontri, disputati sotto l’effetto di cocaina, un nuovo passaggio in carcere di 5 mesi per aggressione, il ritiro ufficiale nel 2005 dopo l’ultima sconfitta tre anni prima nel tentativo di riprendersi il titolo di campione del mondo.
E poi la questione denaro, tra sperpero di soldi, debiti e conti salatissimi nei confronti del fisco USA, oltre a una denuncia da 100 milioni di dollari nei confronti del suo storico manager Don King (che negli anni ’70 organizzò anche incontri di Ali con Foreman e Frazier). In quel caso Tyson “recupera” 14 milioni di dollari con un accordo extragiudiziale. E arriviamo al 2009 quando in tv da Oprah fa pace con Holyfield, e al 2013, quando esce la sua autobiografia, True, rimpolpando quel conto in banca che per molti anni è stato all’asciutto.
Il Mike Tyson di oggi sembra essere un uomo diverso, forse più pacifico anche grazie alla terza moglie. Fa l’attore, ironizza sui terribili episodi che lo hanno coinvolto sul ring, parla di come non bisogna prendere esempio dagli errori che ha commesso. Forse, se non fosse stato un pugile temuto da tutti (nel vero senso della parola) avrebbe continuato la sua carriera. Ma resta il dubbio sul fatto che sia stato proprio questo difficilissimo carattere a renderlo capace di vincere 50 incontri in carriera su 57.