La Brexit come lotta di classe: un fenomeno sociale, non solo politico

Tempo di lettura 3 minuti

Non si può considerare un risultato referendario come espressione di una società che cambia. Breve analisi di un fenomeno in evoluzione

di Federica Albano
su Twitter Federica_Albano

Brexit

(fonte immagine: Amer Ghazzal/Alamy)

Dietro la Brexit non ci sono solo problematiche di tipo politico. Sicuramente ne sono il motivo scatenante, non si possono certo ignorare anni di appartenenza molto poco convinta all’Unione Europea. Tuttavia il malcontento affonda le sue radici in un humus culturale che non è possibile trascurare.

Disuniti non solo politicamente. Slegati fisicamente dal continente da circa 8.500 anni, i britannici hanno sviluppato una mentalità cinica, distaccata. In questi giorni si parla continuamente dell’impatto economico della Brexit, di come ciò cambierà il sistema fiscale, previdenziale, sanitario. Ma chi si ricorda del vecchio sogno dell’Europa unita?

C’è da dire che non si può generalizzare: grandi brand di informazione come il Guardian, la BBC, ma lo stesso neo sindaco di Londra Sadiq Khan sembrano riflettere approfonditamente su questo aspetto, ma la maggioranza euroscettica che ha vinto questo referendum non è sembrata curarsi troppo di questo fattore. La nona di Beethoven su loro non ha avuto alcun effetto.

L’immigrazione. Nel ‘97 gli immigrati in Gran Bretagna erano cinque milioni, nel 2014 solo gli italiani erano 500.000. Agli occhi dei cittadini britannici l’Unione Europea è stata sempre considerata responsabile di questi flussi migratori sconsiderati che, di fatto, hanno reso impossibile alle strutture pubbliche di adeguarsi alle esigenze di un così elevato numero di persone. La politica locale da tempo ignorava il problema e il referendum è stato la liberazione “dal male dell’immigrazione”. Non è un caso che nei quartieri più cosmopoliti tre persone su quattro abbiano votato di uscire.

L’opinione pubblica. Nel 1975, dopo solo tre anni dall’ingresso nella Comunità Europea, il Regno Unito aveva organizzato un referendum e il 67,2 per cento degli elettori aveva scelto di rimanere all’interno dell’Unione. Dopo la crisi del 2008 però il malcontento è cresciuto, alimentato anche da una classe dirigente strapagata e incapace di ascoltare i bisogni della popolazione. Il referendum era un’ottima possibilità per dare una lezione a tutti loro e i britannici ne hanno approfittato.

Anche a seguito del risultato referendario, la scelta dimissionaria di David Cameron sembrava quasi obbligata: per migliorare i problemi del Paese aveva promesso di tornare da Bruxelles con accordi vantaggiosi per il Regno Unito, ma avendo ottenuto poco più di un pugno di mosche, non poteva continuare ad operare con un elettorato che non lo prendeva più sul serio.

La vittoria della democrazia? Alla luce di questi fatti, la Brexit sembra più essere la risposta ad un malcontento piuttosto che una sana conquista democratica. Sicuramente 17 milioni di persone si sono espresse in maniera libera e questo non può essere ignorato, ma non si può non analizzare la vicenda dal punto di vista sociologico. La Brexit è lotta di classe: la workingclass contro un’élite miope, egoista e presuntuosa che si arrogava il diritto di scegliere per coloro che non erano in grado di farlo.

La Brexit è l’esasperazione di non essere ascoltati dalla propria classe politica che, troppo impegnata al mantenimento di falsi equilibri, dimentica che il potere gli è stato affidato dal popolo, non regalato.

E questa è la democrazia.

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Una risposta

  1. 22 Settembre 2016

    […] dichiarò contrario all’adesione all’Unione Europea. Oggi Hofer dichiara che all’indomani del Brexit, gli austriaci dovrebbero organizzarsi per uscire dall’Ue, soprattutto in vista dell’ingresso […]

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