Dall’hate speech alle politiche: cosa sta succedendo nel Nord-Est?
Una notizia inaccurata e un titolo sensazionalista scatenano l’odio in rete contro richiedenti asilo e migranti aggravando le fratture sociali e giustificando politiche discriminatorie. Il caso del Friuli-Venezia Giulia
di Angela Caporale
su Twitter @puntoevirgola_
“La caserma è bella piena? Perfetto! Ora la si può far saltare in aria!”, “Gas per tutti”, “Facciamo un bel falò”, “Buttateli tutti in mare così si fa un po’ di pulizie”, “Una scarica di proiettili li tranquillizzerebbe a colpo”, “Riaprire i forni”. Questi sono solo alcuni dei pesantissimi commenti apparsi lo scorso 5 luglio sulla pagina Facebook del Messaggero Veneto – edizione locale dei quotidiani del gruppo l’Espresso – primo giornale per diffusione e lettori del Friuli-Venezia Giulia. L’articolo che ha scatenato la rabbia nostalgico-nazista degli utenti del social network è la prima pagina del quotidiano che riportava la protesta di un gruppo di richiedenti asilo ospitati, temporaneamente, in una caserma di Udine, e che titolava “Profughi in rivolta alla Cavarzerani”. L’aggressività e il carico d’odio espresso nei, molti, commenti ha presto attirato l’attenzione delle associazioni che si attivano per contrastare l’hate speech come Carta di Roma e il Garante regionale per le persone a rischio di discriminazione, intervenuto raccomandando “ai mass-media locali di adottare al riguardo alcune buone pratiche, già in uso a livello europeo e internazionale, per cercare almeno di prevenire e contenere l’utilizzo dei commenti per la diffusione di messaggi inneggianti all’odio e alla discriminazione”.
Pronta anche la replica del Messaggero Veneto, che in primo luogo ha preso ferma posizione contro l’hate speech sostenendo di aver cancellato i commenti e bloccato i commentatori coinvolti; in secondo luogo, lo stesso autore dell’articolo, Cristian Rigo, ha pubblicato una lunga spiegazione di ciò che è accaduto quel pomeriggio alla Cavarzerani. È vero che il termine “rivolta” è forte e, come tale, può essere interpretato come “negativo” nei confronti dei migranti; tuttavia, spiega Rigo, per riportare la situazione alla normalità è stato necessario l’intervento delle forze dell’ordine – il giornalista conferma pertanto la sua scelta terminologica. Resta l’imprecisione nel riportare le cause della protesta: viene raccontato che pakistani ed afgani si siano scontrati con le forze dell’ordine per le condizioni di vita nella caserma (elemento che rafforza uno dei pregiudizi più diffusi sull’immigrazione), al contrario si è trattata di una brutta rissa tra richiedenti asilo di differenti nazionalità.
La situazione oggi sembra essersi tranquillizzata, ma vi sono due elementi che emergono da questa brutta pagina di informazione, commenti sui social e migrazioni meritevoli di ulteriore attenzione. Il cuore della questione, come sottolineato da Carta di Roma, non è il dovere di raccontare utilizzando le informazioni a disposizione, quanto l’utilizzo di una terminologia adatta affinché questo racconto sia genuino, fedele, accurato. Ciò assume anche maggior rilevanza alla luce del nesso causale tra un linguaggio sensazionalistico e le manifestazioni d’odio dei lettori.
Debora Barletta del No Hate Speech Movement spiega che di fronte a casi così evidenti di hate speech ogni cittadino dovrebbe reagire, cercando di dissuadere l’ “aggressore”: “Il più grave problema riguardo l’hate speech è proprio questo, che lo si prende con leggerezza e non lo si equipara ad altre forme di violenza. Bisogna stare attenti a non sottovalutare anche situazioni apparentemente più ‘leggere’, che spesso si realizzano online o sui social network, in quanti possono portare in sé il germe di qualcosa di più oscuro, magari in una fase embrionale, ma che proprio per questo motivo può essere arginato”.
Che strategia utilizzare, come cittadini e come giornalisti, per evitare che l’hate speech si diffonda, generando una reazione a catena che inasprisce il clima e rischia di produrre politiche discriminatorie? Per Debora la soluzione è il dialogo e l’umorismo: “Reagire in maniera violenta o offensiva infatti non fa altro che aumentare l’odio ed esporci su terreni sui quali il nostro interlocutore potrebbe essere più esperto, il mio consiglio è quindi quello di rispondere con ironia ed educazione, magari ponendo delle domande banali, del tipo: ‘Scusa ma per quale motivo ti esprimi in questo modo?” oppure “Ritenevi necessario commentare in quel modo?’. In questo maniera si può così instaurare un dialogo al quale si può partecipare con argomenti validi e senza violenza, invitando l’altro a capire la nostra posizione, se poi lo si fa pubblicamente è anche possibile mostrare ad altri utenti questo tipo di approccio”.
I giornalisti possono (e dovrebbero) fare qualcosa in questo senso: l’Ethical Journalism Network propone cinque domande che ogni reporter dovrebbe farsi mentre scrive un pezzo. Tra di esse vi è anche una considerazione di chi andrà a leggere l’articolo e qual è il clima generale. Ecco, proprio questo elemento pare essere stato sottovalutato in questa circostanza: il Friuli-Venezia Giulia, come altre regioni d’Italia, è sottoposto in maniera particolare alla flusso migratorio. La reticenza di alcuni comuni all’accoglienza e il flusso di nuovi arrivi dalle frontiere ha fatto sì che nei capoluoghi di provincia, Udine in particolare, vi sia una particolare concentrazione di richiedenti asilo. La caserma Cavarzerani, per fare un esempio, accoglieva nei giorni della “rivolta” settecento persone.
Il clima generale non è favorevole all’integrazione e all’accoglienza, inoltre le recenti elezioni politiche hanno esacerbato la frattura sociale. Giorgio Simonetti, giornalista di Pordenone, racconta di una città e una Regione spezzate a metà: “I risultati delle elezioni hanno portato anche chi prima taceva ad esprimere le proprie paure. Ciò che a me preoccupa è proprio il linguaggio usato, quasi militaresco: abbiamo l’invasione, il timore di accoltellamento, l’assembramento di richiedenti asilo in piazza per usare il wifi e via dicendo”.
Frasi ed espressioni d’odio come quelle apparse sulla pagina del Messaggero Veneto non vanno tollerate. Evocare i “forni” o le “SS” per fronteggiare la, così chiamata, crisi dei migranti non può essere considerata un’affermazione come un’altra. Questi toni incoraggiano e stimolano in maniera diretta politiche e politici demagoghi e populisti che vanno poi a realizzare ordinanze e leggi che non possiamo definire che meschine e discriminatorie. Un esempio? Sempre in Friuli, a Pordenone questa volta, il neo sindaco ha annunciato di voler eliminare il wifi pubblico per evitare il bivacco dei migranti in piazze e parchi, salvo poi ritrattare e mitigare la proposta che resta fortemente discriminatoria poiché orientata a colpire in maniera esplicita una parte dei fruitori del servizio. Eppure, come osserva Simonetti, questa è una decisione che rispecchia una parte dei cittadini che hanno espresso liberamente il proprio voto in questa direzione.
Sembra un circolo vizioso, una catena difficile da rompere se non attraverso una chiamata collettiva ad una maggiore responsabilità quando si tratta di temi delicati, ad una maggiore consapevolezza degli effetti delle parole. È necessario prendere posizione contro l’odio, con gli strumenti adeguati. Debora Barletta invita tutti a “rispondere con fatti concreti all’odio e alla paura. Smontateli con metodo e giudizio, è più faticoso ma porterà frutti a lungo termine; scannarsi sotto un post o sotto un meme invece non fa altro che aumentare la distanza tra persone che dovrebbero invece convivere pacificamente.” Lo scrittore Massimiliano Santarossa, sempre dalle pagine del Messaggero Veneto, invita a leggere le frasi e i commenti apparsi sotto il post per ricordarli: “Leggete quelle orribili frasi, e ricordatele. Fate girare questa orribile pagina, perché si sappia. Essi sono già oggi i responsabili di ciò che la storia futura potrebbe riservarci di drammatico. Alle Persone Civili il compito di denunciare, subito, ora”.
Una risposta
[…] nell’emergenza, strutture adibite a tendopoli o campi di accoglienza informali come alla Caserma Cavarzerani di Udine, dove sono alloggiati stabilmente circa 500 richiedenti asilo in condizioni al limite della decenza […]