“Ventiquattro secondi”, autobiografia di un campione immaginario
La casa editrice romana 66thand2nd lo scorso aprile ha pubblicato “Ventiquattro secondi. Autobiografia di Vittoriano Cicuttini”, la storia inventata (ma non troppo lontana dalla realtà) del primo italiano chiamato Oltreoceano per giocare nella bellissima ed altrettanto dura NBA. Ne abbiamo parlato con l’autore Simone Marcuzzi
di Graziano Rossi
su Twitter @grazianorossi
Un romanzo che in poche centinaia di pagine (336 per l’esattezza) ti fa gioire e commuovere, arrabbiare e darti nuove motivazioni, senza mai eccedere, con uno stile di scrittura a volte semplice ma allo stesso tempo intenso e profondo. In “Ventiquattro secondi. Autobiografia di Vittoriano Cicuttini” (66thand2nd, 2016) di Simone Marcuzzi le dinamiche che portano un giovane friulano a far parte del mondo del basket, in Italia e negli Stati Uniti, sono raccontate con energia e passione. Di questo ed altro ho avuto il piacere di parlarne con lo stesso Marcuzzi in un’intervista realizzata pochi giorni fa.
“Ventiquattro secondi. Autobiografia di Vittoriano Cicuttini” è un romanzo che già dal titolo fa intendere che quella spicciolata di tempo può essere brevissima o lunghissima a seconda del contesto. Il tuo è un manoscritto intenso, bellissimo e duro allo stesso tempo, esattamente come il basket, una disciplina sportiva che in un attimo può farti gioire o farti piangere. Cosa ti ha portato a scrivere l’autobiografia di un personaggio inesistente?
I ventiquattro secondi del titolo hanno un doppio significato. Per chi conosce la pallacanestro sono il tempo a disposizione di una squadra per portare a termine l’azione d’attacco, ma soprattutto – per tutti –, richiamano un’unità di tempo molto piccola che può modificare un’esistenza. Questo è il senso più profondo. Come la pallacanestro, la vita è fatta di istanti. Ci possono essere lunghi periodi di tempo in cui ci succede quasi niente di rilevante, poi singoli eventi, magari brevissimi nel loro compiersi, spostano il nostro percorso, ci costringono a scelte inaspettate, ci conducono altrove, ci fanno star male o ci guariscono. Ho iniziato a scrivere questo libro dopo aver smesso di giocare a pallacanestro (ovviamente a livelli bassissimi), farlo in prima persona è stato un tentativo di vivere sulla mia pelle, e quindi restituire in tutta la loro portata al lettore, emozioni che prima avevo solo immaginato (o sognato).
Il viaggio di Vittoriano parte dal Friuli, un territorio circondato dalle Alpi e dal Mar Adriatico, dove il futuro campione cresce con diverse difficoltà, soprattutto a causa delle vicende familiari e dei problemi fisici. Eppure Cicuttini sviluppa un’identità forte, che lo porterà in alto nonostante gli ostacoli.
Il primo terzo del libro circa si può considerare un romanzo di formazione. Mi piaceva tratteggiare l’aspetto educativo che può portare allo sviluppo di un carattere capace di sopportare una vita complessa com’è quella dell’atleta professionista. Non intendo dire che quella ricevuta da Vittoriano sia l’unico tipo di educazione possibile per un percorso di vita simile, tuttavia la trovo piuttosto credibile. Vittoriano cresce in un Friuli rurale senza madre e con un padre ruvido e poco propenso alle spiegazioni. È un uomo del fare, e attraverso il fare interagisce con il figlio. Tra loro ci sono poche parole e molte azioni plateali, ci sono scontri seguiti non da chiarimenti quanto piuttosto da silenzi. Per quanto sembri quasi tutto sbagliato, l’agire del padre aiuterà Vittoriano a sviluppare una grande resistenza alle difficoltà della vita, lo renderà capace di accettare le sconfitte (quelle del quotidiano prima ancora che quelle sportive). Una volta superata la pubertà, poi, affrancarsi dalle imposizioni del padre e fare i conti con il proprio corpo fanno parte del percorso di scoperta e accettazione di sé che porteranno Vittoriano a uscire di casa e affacciarsi nel mondo.
Quello che più mi ha convinto di “Ventiquattro secondi” è aver ritrovato argomenti così lontani tra loro ben amalgamati nello stesso romanzo. Nel libro infatti – senza scendere nei dettagli per evitare di raccontare troppo – parli di una questione molto delicata come quella delle armi negli Stati Uniti. E forse, non a caso, tanti giocatori che fanno parte della stessa NBA arrivano da un’infanzia difficile, dove il giorno prima puoi restare coinvolto in una sparatoria e il giorno dopo essere notato da uno scout in un campetto.
Gli Stati Uniti sono un paese vasto con grandissime differenze al suo interno, e certo altrettanto grandi contraddizioni. La felicità è auspicata per tutti, ma l’integrazione è accettata nelle dichiarazioni più che nei fatti (la cronaca ci dimostra quanto le discriminazioni ci siano eccome, così come l’emarginazione e la solitudine). Vista da fuori, la facilità di acquisto delle armi è di certo il tassello più spaventoso del quadro. La NBA in qualche modo riassume gli estremi di quest’America. Sono tante le storie di ragazzini afroamericani figli di una povertà autentica che trovano il riscatto nella pallacanestro e fanno un passaggio (a pensarci incredibile) dai campetti alle arene più belle del mondo, ma solo alcuni si dimostrano capaci di gestire il mondo dorato in cui entrano così rapidamente. Nel tempo la NBA ha capito l’importanza di proiettare all’esterno un’immagine positiva di sé e ha cercato di “ripulirsi” con dei programmi specifici di formazione dei nuovi arrivati, dopo aver avuto negli anni ’70 una serie davvero fosca di casi di possibili campioni finiti male.
L’intento di “Ventiquattro secondi” era quello di raccontare una vita intera, quasi cinquant’anni di una persona che è anche un grande campione di pallacanestro. Gli argomenti raccontati sono diversi ma la nostra vita, la vita di tutti, è fatta di emozioni ed esperienze anche slegate, che trovano una loro unità per il semplice fatto che ci riguardano. C’è il nostro lavoro, c’è la famiglia, c’è quello che sappiamo guadagnarci con grandi sacrifici e c’è quanto la vita ci riserva senza che si debba chiedere nulla.
Lasciando per un momento da parte il tuo romanzo, negli ultimi anni il basket in Italia fa notizia più per questioni legali (la vicenda Montepaschi Siena), burocratiche (le querelle tra federazione, lega e club) e di formazione dei giovani, rispetto ai risultati che non arrivano più, in ultimo la mancata qualificazione della Nazionale alle Olimpiadi di Rio 2016. Secondo te da dove bisognerebbe ripartire affinché giocatori e squadre italiane possano tornare a competere ad alto/altissimo livello?
La mancata qualificazione a Rio 2016 è una ferita davvero dolorosa. Come credo tutti gli appassionati, anch’io ci avevo creduto. Comunque: non credo di avere facili ricette da proporre per risolvere un problema che sta diventando piuttosto gravoso. Quello che a me piacerebbe, e in questo forse sono un po’ retrò, sarebbe che le società tornassero a investire nei settori giovanili e che poi dessero la possibilità ai ragazzi di calcare i parquet che contano. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di seguire dal vivo alcune partite delle finali nazionali under 19. Ho visto ragazzi bravissimi, e poi li ho visti scomparire. Le squadre del massimo campionato, tranne rari casi, sono fatte di stranieri a volte di livello discutibile. Immagino ci siano delle ragioni, ma voglio credere che esista un modello di sviluppo diverso per il movimento. Io percepisco, e non credo di sbagliare, una grandissima voglia di pallacanestro tra i giovani, sarebbe un peccato non sfruttarla.
“Ventiquattro secondi. Autobiografia di Vittoriano Cicuttini”
di Simone Marcuzzi (66thand2nd)
pagine 336
uscita aprile 2016
disponibile in versione Ebook
prezzo €18,00
L’autore
Simone Marcuzzi è nato a Pordenone nel 1981. Ventiquattro secondi. Autobiografia di Vittoriano Cicuttini è il suo terzo romanzo, dopo Vorrei star fermo mentre il mondo va (Mondadori, 2010) e Dove si va da qui (Fandango Libri, 2014).