Il sogno romano del Boss
In un Circo Massimo con 60.000 spettatori Bruce Springsteen ammalia Roma con un concerto indimenticabile di quasi quattro ore. Il racconto di una magnifica serata
di Graziano Rossi
su Twitter @grazianorossi
Non chiamatela recensione, perché non lo è. Si tratta piuttosto di un omaggio, a un artista che ho scoperto negli ultimi anni e del quale conoscevo “solo” – si fa per dire, vista la grandezza delle canzoni – successi come Born in the U.S.A., Dancing in the dark, Born to run, Glory days, Because the night, “ceduta” a Patti Smith, e pochissimi altri pezzi. Poi è arrivato sabato 16 luglio 2016, e ho aperto gli occhi, cosa che milioni di persone prima di me hanno fatto imparando ad apprezzare, ad amare e ad ammirare Bruce Springsteen.
Questo articolo non era programmato, ma le sensazioni che ho provato al Circo Massimo di Roma pochi giorni fa hanno fatto scaturire in me l’idea – approvata dalla mia bravissima collega Alessia Signorelli, caporedattrice della sezione Cultura di Ghigliottina.it – di scrivere qualcosa, perché una magnifica serata passata insieme a decine di migliaia di persone, tutte lì per il Boss, oltre che con un carissimo amico venuto con me, non poteva non passare anche dalle pagine del nostro giornale.
Dicevo poco sopra, probabilmente il numero di pezzi di Springsteen di cui ero a conoscenza raggiungeva – fino a sabato scorso – circa 10 canzoni, e questo per me è stato paradossalmente positivo. Infatti il cantautore del New Jersey, 67 anni a settembre, è in giro per il mondo con la storica E Street Band con il suo “The River Tour”, incentrato sull’album “The River” pubblicato nel 1980, uno dei più importanti della sua carriera e del quale non ero a conoscenza; tour iniziato lo scorso dicembre in concomitanza con l’uscita del cofanetto “The Ties That Bind: The River Collection“, riedizione speciale proprio di quel disco.
Chiedo perdono a chi si dispererà tipo “Urlo di Munch” perché sto scrivendo un articolo da “non esperto” della musica di Bruce Springsteen, ma al contempo spero mi salvi il fatto che a qualche giorno dal concerto, io sia ancora estasiato dalla magnificenza di quanto visto e ascoltato.
La serata è subito magica grazie a un’apertura da brividi con il primo pezzo, New York City Serenade, accompagnato dall’Orchestra Roma Sinfonietta. Amici che seguono il Boss da anni il giorno dopo il concerto mi hanno detto che raramente suona questo capolavoro, quindi ripensandoci, mi sento ulteriormente fortunato.
I momenti emozionanti durante la lunga nottata “made in Springsteen” sono stati tanti – e per chi ama le recensioni ad hoc in fondo al pezzo troverà la scaletta del concerto -, a cominciare dalla meravigliosa E Street Band, dal batterista Max Weinberg al sassofonista Jake Clemons fino alla moglie del Boss, Patti Scialfa, con la quale esegue in modo estremamente intimo Tougher than the rest, con i due che cantano sfiorandosi le labbra.
Tra il pezzo suonato con la moglie e l’iniziale “New York City Serenade” Bruce Springsteen e la E Street Band hanno già eseguito quasi 20 canzoni, tra cui The River, Independence Day e The Ghost of Tom Joad, delle quali non ci si può non innamorare già al primo ascolto, almeno per me. Guardo l’orologio e non mi sembra vero che il concerto sia iniziato già da ore, perché la carica che il Boss ti dà mentre è sul palco mi rendo conto che è inspiegabile: tutto è cominciato alle 8 e 20 della sera e potrei andare avanti ancora per chissà quanto.
La stanchezza fisica però incombe ed ecco che le mie orecchie percepiscono le note di quelle canzoni ascoltate chissà quante volte: una dietro l’altra scorrono a un ritmo impressionante Born in the U.S.A. e Born to run, due manifesti dell’America cantate da Springsteen, con il primo pezzo incentrato sulla guerra in Vietnam (infatti il primo titolo, poi cambiato, fu proprio quello) e il secondo dedicato a un sogno americano che sembra scappare dalle mani e che necessita di una fuga.
I minuti trascorsi a cantare a squarciagola – e ci credo, quei due pezzi li conosco! – non finiscono lì, perché poi arriva l’energia di Dancing in the dark, sulla quale il Boss chiama sul palco alcuni fan, tra cui un ragazzino di 13 anni invitato a suonare la batteria insieme a Max Weinberg, con tanto di bacchette regalate, e un’altra ragazza della stessa età (lo dicono i loro cartelli!) visibilmente emozionata nell’eseguire qualche nota insieme al “nostro” Bruce con una chitarra tra le mani. Il concerto infine si chiude con Thunder road, il pezzo che apre l’album “Born to run” e che il Boss esegue dal vivo sin dal 1975, anno di uscita del disco.
Insieme al mio amico lascio l’antico circo romano, teatro di un evento straordinario al quale abbiamo assistito in una freschissima sera d’estate. Quello che più mi ha colpito delle quasi quattro ore passate insieme a Bruce Springsteen – e non poteva essere altrimenti, posso dire a posteriori – è che la pelle d’oca che ho avuto a inizio concerto e che più volte è sopraggiunta durante la meravigliosa performance del Boss mi ha fatto emozionare a tal punto che sento di aver perso tempo nel non scoprire quanto ogni nota cantata, suonata con la chitarra o con la fisarmonica da questo signore nato nel settembre del 1949 meriti devozione.
Grazie Bruce Springsteen per esser venuto nuovamente a Roma dopo tre anni dall’ultima volta, quando un impedimento fisico non mi fece partecipare alla tua grandissima festa in quel di Capannelle. E grazie anche a Roma, grazie al Circo Massimo, perché parte dell’emozione provata sabato scorso arriva da questa meravigliosa città, che per quattro ore ha ospitato – come dicono in tantissimi, e adesso anche io faccio parte di quella schiera – probabilmente uno dei migliori performer di sempre. Tu, carissimo Boss, sicuramente non leggerai mai questo articolo, ma sappi che tutto quello che ho scritto vuol essere l’omaggio a un grandissimo artista come te.
Scaletta Bruce Springsteen @Circo Massimo di Roma, 16 luglio 2016:
“New York City serenade”
“Badlands”
“Summertime blues”
“The ties that bind”
“Sherry Darling”
“Jackson cage”
“Two hearts”
“Independence day”
“Out in the street”
“Boom boom”
“Detroit medley”
“You can look but you better not touch”
“Death to my hometown”
“The ghost of Tom Joad”
“The river”
“Point black”
“The Promised land”
“Working on the highway”
“Darlington country”
“Bobby Jean”
“Tougher than the rest”
“Drive all night”
“Because the night”
“The rising”
“Land of hope and dreams”
“Jungleland”
“Born in the U.S.A.”
“Born to run”
“Ramrod”
“Dancing in the dark”
“10th Avenue freeze-out”
“Shout”
“Thunder road”